Il bunker non è il contesto migliore per lavorare a un’inchiesta sui mostri. Non puoi girare, non puoi dar la caccia ai protagonisti di un fatto, pedinarli, intervistarli. Dal bunker puoi solo scorrere uno schermo, sfogliare delle pagine e provare a mettere insieme numeri, date, notizie, ma non storie. Meno male che io non devo fare nessuna inchiesta, così posso dedicarmi in tutta calma all’accidia, all’indignazione e al biasimo. E a proposito di biasimo, ho visto che è partita l’emergenza bullismo.
A occhio, direi che ci risiamo. Siccome le emergenze vere non vendono copie, tanto vale inventarne qualcuna che funziona. Finora è andata bene: migranti, ebola, sars, morbillo, zanzara tigre, sacchetti bio. Intendiamoci, si tratta di temi su cui si può discutere seriamente. Quello che non è serio è il modo in cui ci vengono raccontati.
Le emergenze televisive sono come le allergie stagionali, sono fastidiose ma prevedibili perché hanno, sistematicamente, vita breve. Come l’emergenza migranti, terminata da qualche settimana; infatti ora i TG (quelli di sinistra, come Rai Tre e Rainews24, mica quelli berlusconiani) pongono quesiti tipo: “Chi lucra sul passaggio di migranti dall’Italia alla Francia?” mettendo nel mirino figure come i volontari di Bardonecchia o le guide francesi incriminate per aver aiutato donne incinte e bambini a non morire di freddo sotto la neve. Mai visto un servizio, se non a tarda notte, per capire dove sono e come stanno quelli che non sono arrivati in Italia via mare, quelli che Minniti definisce “un drastico calo degli sbarchi”; vorrei sapere che fine hanno fatto, chi li ha fermati e come, e chi ha pagato perché venissero fermati.
Invece no, bisogna soffiare solo su certi fuochi, mentre su altri è meglio pisciare, per spegnerli, non si sa mai.
La “Corrida”, il vecchio programma di Corrado resuscitato a nuova vita, diciamo, da carlo Conti, è pensata per lo stesso tipo di pubblico che si nutre di emergenze. In fondo, probabilmente, siamo rimasti alle fiere, alla passione morbosa per i nani e per la donna barbuta, per il serpente e per il leone. Finché stanno in gabbia è anche bello avvicinarsi, magari per sputare. La gabbia non si rompe quasi mai. Ma vuoi mettere, l’emozione al pensiero che potrebbe rompersi? Come quando fai bunjee jumping, e nell’attimo in cui salti qualcuno ti dice “no aspetta”, così ti fai il volo con la diarrea fino a che non senti l’elastico che tira e ti riporta su. Ma quanto è figa la diarrea? Tornando alla Corrida, rispetto a Corrado che si limitava a lanciare personaggi strani in pasto al pubblico, Conti esordisce ricordando a tutti le regole del gioco, lo scopo, il modo in cui è opportuno guardare; tranquillizza quasi gli spettatori dicendo loro che quel che guarderanno non è una vera sorpresa ma è esattamente quello che si aspettano di vedere, e che la Legge suprema a cui tutto risponde è la Leggerezza, l’allegria, il divertimento. C’è la tipa strana, che ovviamente canta malissimo, c’è il tipo che balla quasi peggio di me imitando il ballerino dello spot TIM, c’è il rapper del profondo Sud, già celebre su Youtube, c’è la cantante lirica dilettante che canta bene e strappa la standing ovation, e piange come se fosse vera perché per lei è vera, c’è il rockettaro settantenne che è rimasto alla fotocopia della fotocopia della fotocopia di Elvis, e fa finta di cantare in inglese. Sembra un programma pensato dal Signor Distruggere, dove c’è il pubblico che lincia, c’è il bestiario e c’è quello che presenta e dirige il traffico.
Ogni problema ha il suo grado di complessità. Se si semplifica troppo il contesto, smette di essere un problema e diventa un’altra cosa: un’emergenza o un fenomeno da baraccone, di solito. E mi sembra che noi siamo rimasti bloccati qui, nella palude della folla che siamo. Perché la prima vittima della Folla, uno dei fenomeni naturali più complessi, è proprio la Complessità. Un momento! Ho sentito bussare al portellone blindato. Dove minchia ho messo lo schioppo?
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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