Qualche mese fa capitò quel brutto episodio di violenza che ebbe come protagoniste due ragazzine di un paese della Sardegna. Una delle due aveva aspettato l’altra fuori da scuola, l’aveva prima aggredita verbalmente e poi colpita. Il video della scena, girato da uno dei tanti studenti-spettatori, aveva fatto il giro del Web. Io non avevo avuto cuore per guardarlo. Però ricordo la velocità impressionante di propagazione, dell’ordine di 5-10 nuove condivisioni al secondo. Ero incredulo: avevo davanti agli occhi l’anteprima col fermo immagine, con le due ragazzine che si fronteggiavano. Ogni tre secondi facevo il refresh, e i numeri dei like, delle condivisioni e dei commenti, aumentavano a ogni giro di cinque, dieci, venti unità.
Alcuni siti di informazione, e alcuni utenti, rigorosamente sardi, avevano pensato bene di lanciare, oltre il video, anche il nome della “picchiatrice”, con conseguenze facilmente prevedibili. Internet, si sa, è roba per gente veloce. I lenti, i riflessivi, si sentono quasi a disagio quando si prendono il tempo che serve per soppesare una fonte o verificare un’informazione. Vuoi mettere l’ebbrezza di trovare subito la soluzione, la risposta o, meglio ancora, il mostro? Fu così che una persona completamente ignara di tutto, omonima della ragazzina manesca (che forse stava su Facebook con altro nome), nel giro di poche ore si era trovata sommersa di insulti, minacce e auguri di ogni male. Minacce di violenza fatte per compensare la violenza subita dalla prima vittima. Nessuno di questi giustizieri, evidentemente, è stato sfiorato dall’idea che fosse possibile sbagliare persona e l’effetto “folla” ha fatto il resto. Certo, effetto “folla”, perché se tutti urlano “dagli al mostro”, mica saranno tutti scemi. Se tutti urlano, vuol dire che quello è il mostro, e se uno scappa e si difende vuol dire che ha qualcosa da nascondere e allora, prima che possa nascondersi lui (o lei), urlo anch’io. Addirittura –l’ho visto coi miei occhi- una tipa dalla Sicilia è andata sul profilo dell’omonima, l’ha coperta di insulti, ha fatto lo screenshot e lo ha postato sulla bacheca della vittima per mostrarle quanto era stata brava a difenderla.
Oggi mi è tornato in mente quell’episodio e sono stato preso da una strana, insana voglia: sono andato a cercare pagine in cui mi aspettavo di trovare lo stesso clima di linciaggio e sete di sangue di quel giorno.
E l’ho trovato.
Mi chiedo solo se quel bunker a metà prezzo che ho visto l’altro giorno su Ebay, sia ancora disponibile. C’è una nicchia in cui stanno comode un paio di bottiglie di vino e una dozzina di libri. Se venite a trovarmi, portate da leggere e anche da bere.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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