di Fiorenzo Caterini –
Giubilo per tutte le persone a cui stanno a cuore le sorti dell’ambiente. Recentemente il governo ha licenziato la nuova normativa sugli “ecoreati”, che punisce finalmente chi commette, specificatamente, dei disastri e degli inquinamenti ambientali.
Le stesse associazioni ambientaliste principali hanno accolto con molto favore questa nuova legislazione, con i festeggiamenti dovuti ad una battaglia che durava ormai da quasi 20 anni.
Una legge, appena licenziata dal Senato, che promette di punire, dunque, con maggior pertinenza, queste fattispecie di reati in campo ambientale. E tuttavia, soprattutto da parte di alcuni giuristi, sono emersi dei dubbi sulla reale portata di questa normativa.
Non sono mai contenti, verrebbe da esclamare! La nuova legge prevede fino a quindici anni di reclusione per il reato di disastro ambientale. Inoltre, passando dalla categoria “contravvenzione” alla categoria “delitti”, il reato finalmente non corre il rischio di andare in prescrizione così frequentemente. Così, a quanto pare, anche per l’inquinamento “semplice”, non “disastroso”, si allungheranno i tempi di prescrizione.
Era ora. Infatti il limite più evidente della normativa era la facilità con cui gli scempi ambientali andavano in prescrizione. Reati con indagini lunghe e molto complesse, basate, in particolare, su infinite perizie e controperizie scientifiche variamente interpretabili e soprattutto con un nesso di causa sempre difficile da dimostrare sul piano probatorio.
Ma qualche dubbio è lecito, forse, porselo, giusto per fare l’avvocato del diavolo.
Infatti la norma prevede un inasprimento delle sanzioni soprattutto per i reati dolosi. Ma come giustamente ha fatto notare il giudice Amendola, essi sono piuttosto rari. Cioè nessuno volontariamente lancia una petroliera a tutta velocità contro gli scogli o avvelena un fiume così, tanto per fare un dispetto alle trote.
In genere i disastri e gli inquinamenti sono colposi, dovuti cioè ad una colpa specifica. Un caso esemplare di disastro colposo è quello recentissimo della multinazionale tedesca E.On dello stabilimento di Porto Torres, con lo sversamento accidentale di liquami lungo la costa settentrionale della Sardegna. Un disastro di enormi proporzioni. Vertici dell’E.On sulla quale pesano accuse piuttosto serie, come i recenti arresti hanno dimostrato.
Ecco, in questi casi, cosa prevede la norma?
La norma, nei casi colposi, prevede la pena di cinque anni, riducibili anche di due terzi in caso di ravvedimento operoso.
Meno di due anni per un disastro ambientale.
In pratica, un disastro come quello della E.On, di fatto, resterebbe impunito. Sarebbe sufficiente che i responsabili “mostrino” di fare qualcosa, di fare il possibile per riparare il danno, e il reato si ridurrebbe a meno di due anni.
Ora, il ravvedimento operoso, specie per i reati ambientali, è un buon istituto, utile nella pratica. Offrire uno sconto di pena a chi ripulisce tutto, significa, al di là di certi atteggiamenti forcaioli che persistono nella nostra società, salvare vite umane e attivare comportamenti virtuosi di politica ambientale. Ma in questo caso il ravvedimento operoso di fatto cancella ogni effetto deterrente, perché la pena residua è talmente tenue che, specie laddove esistono grandi interessi, diventa di fatto una liberalizzazione.
Poi c’è il caso, molto dibattuto, del termine “abusivamente” posto a qualificare il reato di disastro. Cioè sono punibili solo i disastri compiuti abusivamente. Ma che significa?
Sembra un ossimoro. Come fa un disastro ad essere abusivo?
A parte le altre limitazioni, derivate dal fatto che il disastro debba essere di una chiarezza cristallina (la legge infatti parla di inquinamento che deve essere significativo e misurabile e, nel caso del suolo, esteso), non sempre possibile nel caso di veleni che si disperdono silenziosamente nell’aria, nell’acqua e nella terra, il termine “abusivamente” sembra voler dire che sono punibili quei disastri che non sono coperti da preventiva autorizzazione.
Cioè, se un industriale causa la morte di decine o centinaia di suoi operai, a causa di sostanze tossiche presenti nello stabilimento, ma al momento del fatto gli adempimenti burocratici risultavano in regola, il fatto non costituirebbe reato.
Si dirà, e giustamente, dato che tutte le industrie, chi più chi meno, in qualche modo sono inquinanti, senza un quadro di riferimento normativo certo, qualunque magistrato che si sveglia potrebbe distruggere il tessuto produttivo del paese facendo chiudere tutto. Nessuno potrebbe più investire un soldo in una impresa produttiva, e la nazione intera andrebbe in rovina.
Secondo le pressioni degli industriali, dunque, il termine “abusivamente” servirebbe a tracciare un confine netto e a non lasciare indebita discrezione agli organi accertanti.
Ma è davvero così?
L’ordinamento giuridico italiano, come ricorda ancora Amendola, è strutturato in modo da punire solo quei reati colposi che si rendono tali per imprudenza, negligenza ed imperizia. Ovvero nessun giudice condannerebbe, tanto per essere chiari, uno sversamento di sostanze nocive avvenuto in circostanze di rispetto delle normative esistenti, del principio di precauzione, senza che il fatto sia imputabile ad imperizia dei responsabili. Quindi, in realtà, l’aggiunta del termine è del tutto superfluo ed anzi rappresenta una pericolosa scappatoia per dei disastri ambientali anche molto seri, che risulterebbero “coperti” da un pezzo di carta, discolpati da terzi, con il rischio di un grave corto circuito tra imprese e istituzioni pubbliche.
Ad ogni buon conto si dirà che, almeno, e finalmente, esiste una legge specifica, prima neppure quella.
Ma anche in questo caso, in realtà, non è proprio così.
A parte il reato di disastro doloso che, come abbiamo già detto, è piuttosto raro, i vari scempi ambientali, erano coperti da due codici in vigore, quello dei Beni Culturali, L.42/04, il cosiddetto Codice Urbani, e quello Ambientale, L. 152/06. Il primo, da giurisprudenza ormai consolidata, si rivolgeva ad un concetto di paesaggio sostanziale, non solo formale od estetico. Per cui puniva, tra le altre cose, ad esempio, una morìa di pesci. Il secondo codice, quello ambientale, puniva ogni versamento di rifiuti e sostanze sul suolo, sulle acque e nell’aria. Insomma la giurisprudenza si era adoperata estendendo le suddette normative fino a ricoprire in pratica tutte le fattispecie delittuose, ivi compreso lo smaltimento dei rifiuti con l’uso della combustione, tipico della “terra dei fuochi”.
In pratica le due norme si sovrapponevano con una certa efficacia. Sarebbe stato sufficiente aumentare i termini della prescrizione, subordinandoli, possibilmente, alla bonifica dei terreni inquinati, e potenziare l’attività investigativa, invece di smantellarla con l’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato in altri corpi, situazione ancora transitoria e poco chiara.
Infatti aumentare le pene, statisticamente, non è mai servito a molto. Quello che realmente serve, per contrastare un reato, è l’efficienza organizzativa degli organi investigativi. E per quelli occorrono uomini e mezzi.
Aumentare le pene serve solo al politico per farsi bello con la pancia forcaiola della gente, che spesso auspica soluzioni spicce per problemi complessi. Ma non serve molto, nella realtà.
Sarebbe bastato, insomma, correggere quelle storture presenti, in particolare in relazione ai termini di prescrizione, e si sarebbe ottenuto un risultato migliore, concreto, anche se, mi rendo conto, non molto visibile.
Meglio una nuova norma, bella e roboante, e che poi, al lato pratico, si scioglie alla prima opposizione legale.
Per non parlare degli airgun.
Ecco, questa normativa, è stato detto, necessita di qualche aggiustamento per non essere considerata solo “fumo”, e di quello che inquina pure.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design