Ho pensato alla “Madre” di Grazia Deledda letto un mucchio di tempo fa, ora ne ricordo a malapena la storia. La vicenda del presule di Parigi accusato di rapporto improprio con una signora e in qualche modo difeso dal Papa, in acrobatico mélange con le celebrazioni del nostro Nobel, mi ha fatto saltare in testa quel romanzo penso dei primi anni Venti del secolo scorso, che parla sostanzialmente di una donna in crisi perché il figlio prete si corica con una fedele, tanto in crisi che alla fine se ne muore di crepacuore lasciando il reverendo in una fastidiosa sindrome da espiazione. Ora, scherzi a parte, di ogni cosa bisogna dare una lettura storica e a quei tempi il rapporto sessuale prete-fedele, pur condendo barzellette, aneddoti, pettegolezzi antichi di paesi e quartieri, era comunque una faccenda avvertibile come una trasgressione alla cultura della comunità perché il parroco spesso era il centro di quella comunità. Mi sembra però di ricordare che quando lessi quel romanzo, saranno stati gli anni Sessanta o gli inizi del decennio successivo, già mi dicevo: “Ebbé? Cazzi suoi del prete!”. Mi avrà probabilmente attratto la bellezza del libro, lo stile narrativo, l’istintivo sforzo di capirne l’insita trasgressione, il generale concetto di peccato; ma restare coinvolti dalla trama nuda già ai miei tempi di ragazzo era difficile e ora – grazie a Dio, aggiungerei se ci credessi – lo è ancora di più. Un prete che abbia rapporti sessuali necessariamente fuori dal matrimonio che non può contrarre, è uno che viola una regola della sua Chiesa, non una norma della morale comune. Mi riesce difficile, estraneo come sono a certi mondi, tradurlo in senso di peccato. Ma penso che anche dal punto di vista di un cattolico osservante sia pressappoco come per due laici accoppiarsi senza preventive nozze, è vero che “è una cosa che fa piangere Gesù” (lo dicevano molte suore, ma ho il sospetto che il loro Gesù avesse altro a cui pensare), però in quanto a considerarlo un vero e proprio peccato, direbbero a Sassari, buffami l’occi. Quindi mi è sembrata addirittura pleonastica la precisazione del Papa che i veri peccati sono altri e il coro di cristiani indignati perché il Papa difende un peccatore mi fa pensare a un’accolta di beghine che mormorano con il rosario in mano al passaggio del loro confessore sospettato di pensieri porcaccioni. Un brutto spettacolo che, è vero, guardo dalla platea, non facendo parte della Chiesa. Ma tuttavia faccio parte di una società e di una cultura fortemente condizionate da questi millenaria istituzione che ogni volta che sembra stia per schiattare viene salvata per un pelo da papi in gamba come questo. E il mio vero problema è che non so se la cosa mi piaccia o no.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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