Sto andando a destra? Non so, ma l’avversione crescente verso il potere del popolo mi imprime una spinta a sinistra talmente forte da provocare una giravolta che mi ruota verso destra. E’ complicato, lo so. E’ che io stesso non capisco bene. La spinta a sinistra è la prima reazione al fatto che questo potere del popolo viene attualmente utilizzato dalla destra in maniera così volgare e truffaldina che io mi butto ancor più a sinistra senza peraltro trovare grande consolazione rispetto a quando dalla stessa parte ci stavo anni fa. Ma questo è un altro discorso che attiene all’eterno principio che quando cominci a pensare che il passato è sempre bello e il presente è sempre una merda, cominci anche a emettere odore di mogano. Comunque, vado tanto a sinistra da finire a destra perché, anziché contestare soltanto l’uso che la destra fa del potere del popolo, mi sorprendo a contestare proprio il potere in sé. A esempio leggendo questa mattina, nei social ma anche nelle testate giornalistiche, i commenti del popolo a due notizie: la cattura dell’ergastolano evaso durante la licenza premio e la condanna mi sembra a vent’anni dei genitori accusati di avere ucciso la figlioletta dando fuoco alla roulotte. In me il primo fatto suscita preoccupazione per il danno di immagine a un istituto, quello delle licenze, che a mio avviso contribuisce a rendere più moderno e utile il difficile concetto giuridico e sociale di detenzione, l’altro fatto mi ha invece fatto provare grande pietà per il contesto di degrado nel quale vittime e carnefici hanno agito e subìto azioni. Moltissimi commenti erano invece invocanti morte dolorosa e dannazione eterna per l’ergastolano, per i genitori della piccola, per chi ha messo fuori il detenuto e per chi non ha condannato alla pena capitale i genitori. Un’esplosione di odio insensato alla quale dovrei essere abituato e che invece mi fa odiare a mia volta gli odiatori, precipitandomi al loro livello. E questo già mi spinge verso destra – almeno nella mia concezione di destra e di sinistra -, ma ciò che mi imprime la spinta finale è la riflessione sul fatto che se tutta questa marmaglia non avesse libertà di parola, o meglio, modo di parlare, non farebbe danno. In sostanza rimpiango i tempi nei quali le opinioni del popolo erano filtrate dai giornalisti nelle “lettere al cronista” o addirittura in rubriche che in altri tempi hanno fatto la parte buona della storia del giornalismo italiano, quale “Lo specchio dei tempi” della Stampa. Insomma, voglio togliere la parola al popolo per disarmare i populisti. Che è un po’ come se mi trovassi a Parigi negli anni Novanta del Settecento e, disgustato delle tricoteuses che sotto la ghigliottina gridano distrattamente “a morte” senza neppure sollevare gli occhi dal lavoro a maglia per vedere di chi era l’ultima testa rotolata nel cesto, mi iscrivessi a un circolo clandestino realista e anti illuminista. Però poi mi confondo, perché auspicando il ritorno totale del potere dell’informazione alle testate giornalistiche regolari, mi imbatto nell’ottimo articolo, pubblicato in questa stessa testata, dello storico Guido Melis, che racconta di come la vita di un suo amico, bravo e onesto magistrato, sia angustiata da un caso di omonimia con un altro magistrato ritenuto meno commendevole e dal fatto che la stampa regolare non faccia granché per distinguere l’uno dall’altro. E così, da vecchio giornalista, ho pensato per la prima volta al passato non in termini nostalgici ma molto critici. A esempio alla maggior parte della stampa italiana dopo l’arresto di Valpreda, immediatamente promosso al ruolo di mostro, o al fatto che soltanto pochi grandi quale Enzo Biagi avessero manifestato gravi dubbi dopo l’arresto di Enzo Tortora. E poi penso al presente di molti giornalisti che in televisione misurano la loro professionalità nel camerino per il trucco (“mi disegni un po’ di borse sotto gli occhi, che mi fanno più vissuto”) e nelle lezioni di recitazione dove imparano le pause teatrali, i ghigni, i sospiri ecc e quando approdano al programma non dicono una parola che giustifichi la loro iscrizione all’ordine professionale. Penso ai giornalisti di certi titoli online, di quelli del tipo “sapete che cosa è accaduto quando quest’uomo ha aperto la porta di casa?”, “ecco perché mangiando pere cotte non avrete mai il cancro” e altra roba così, come le inserzioni su Diabolik con la crema che fa crescere i muscoli e “i fantastici occhiali a raggi X che permettono di vedere le donne sotto i loro vestiti”. E quindi mi chiedo: togliere il potere al popolo per riconsegnarlo anche a questi giornalisti? E come si fa a distinguere per legge l’informazione buona da quella cattiva? Boh, aveva ragione il mio professore di Greco: “Filigheddu, ieri è piovuto, le lumache escono all’aperto, vanno soltanto colte; cosa fai qui a rompere le balle a me?”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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