Mi chiedo – e me lo chiedo nel silenzio infinito dello stare a casa – cosa ci ha insegnato Gianni Mura, grandissimo giornalista sportivo morto oggi all’età di 73 anni per un arresto cardiaco qualsiasi e mica di corona virus. Intanto non è stato un giornalista sportivo ma un costruttore di parole, di sentimenti, di movimenti, di emozioni. E’, per dire, uno che mi ha fatto innamorare del Tour de France. Mica dei ciclisti soltanto ma del Tour inteso come modello di vita, come strada da percorrere, come paese da visitare, come ristorante su cui mangiare il patè di fois gràs e condire tutto con Cot du Rhone, un vino decisamente corposo e rosso. Mi ha insegnato che occorreva utilizzare lo sport per parlare della bellezza e, perché no, della bruttezza del mondo. Mi ha fatto conoscere l’importanza di un gol di Maradona e degli assist che Greta, la piccola Greta ha provato, inutilmente, a passare ad un mondo sordo. Sapeva raccontare Gianni Mura. Dio se lo sapeva fare. Probabilmente quanto e più del suo maestro Gianni Brera. Non usava i nomignoli, i giochi letterari antichi ed epici che utilizzata l’immenso Brera, non era poi convinto che il pallone fosse divino e non era troppo convinto che Baggio fosse il marziano che tutti raccontavano. Amava sempre l’uomo più del calciatore, del ciclista, del passista, dello sciatore. Amava condire lo sport con l’imprevedibilità della vita, con il fattore umano. I suoi cattivi pensieri, le sue personali pagelle, il suo campionato di calcio visto con gli occhi di una palla di lardo ci mancheranno. Mi mancheranno. Come quel suo grasso sorriso, quel suo voler dire che lo sport è vita, racconto, storia, leggenda. Voto a Gianni Mura: 10 per ciò che mi ha insegnato, 10 per ciò che mi ha fatto amare, 1 perché sei andato via troppo presto, senza neppure avvisare. Mica si fa così.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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