…calavano le prime ombre della sera…
Nik Carter cominciava sempre così i suoi racconti/fumetti/in tv con Supergulp.
Cosa c’entri tutto questo con il pensiero che ieri sera mi ha accompagnato, insolitamente presto, a cuccia nel mio letto ancora non lo so ma cercherò di capirlo, lo strano collegamento fra quel pensiero e i cartoons. Il perché ieri sera, nel poggiare la testa sul cuscino mentre un nubifragio ticchettava i suoi goccioloni sul tetto, come un pendolo d’acqua a scandire ogni singolo minuto/secondo, la mia mente restava pesantemente arroccata su due parole?
“Jobs Act“.
Letteralmente tradotte -anche se persino google translator fatica, non poco, a tradurle insieme-significherebbe “Atto Lavori”, ché gli inglesi sono abilissimi nel nascondere tutti i sottintesi delle frasi, quindi dovremmo leggerlo, da bravi Lords, come “Azione che riguarda il Lavoro (tutto tutto?)”. Ma potrebbe anche essere intesa diversamente, vedendo il tortuoso percorso fatto in questi ultimi due decenni, un sentiero sempre più minato ed irto di insidie per il lavoratore e sempre meno “impegnativo” sia per chi il lavoro può offrirlo, specie se in grandi numeri, che per chi ne trae cospicui ricavi con sempre minore impegno, lo Stato. Di “Atti” -rigorosamente accompagnati dai soliti “coup de théâtre” di Silviana memoria- ne abbiamo visti anche troppi e fa davvero inorridire, l’osservare chi ieri faceva il diavolo represso a quattro contro quei provvedimenti –solo perché, se non altro fisicamente, stava all’opposizione– addirittura proporre le stesse identiche ricette, gli stessi identici annunci e slogan, la stessa supponenza nel valutare dati come la debacle totale emiliano-calabro-romagnola o la reale condizione di milioni di cittadini, atti che abbiamo subìto sin’oltre la nausea. Di lavoro invece, qualitativamente e quantitativamente, se ne vede sempre meno.
Ognuno ce/se la racconta un po’ come gli pare, ma la maggior parte di loro parla, twitta e posta -non senza proseliti- di tutt’altre questioni. Si punzecchiano fra loro con toni da paninaro fuoricorso e sovente si ritrovano il fantasista di turno che li secca con battute sarcastico/ironiche irresistibili, che fanno poi il giro del WEB. Ma trovare uno solo di questi politici di luuungo corso che affronti i temi e li esponga con chiarezza a quella manciata di elettrori rimasti tali, è impresa vana. Le armi di distrazione sempre oliate, affilate e pronte all’uso.
E se le ombre calano sulle questioni nazionali, sopra quelle regionali l’oscurità è signora e padrona. Attraverso le poche cose sulle quali si sta “mettendo mano”, tipo il “Piano Casa”, si può tranquillamente notare una vistosa ed ingombrante liaison con i metodi e politiche di quella precedente, anche se, ad onor del vero, di opposizione a quel tempo se ne vedeva ancora meno dai banchi del nascente ed oggi partorito a tutti gli effetti “centrodestrasinistra”, per dirla alla Nando Rossi.
Poi stamattina l’ho capito, il perché di queste mie elucubrazioni fra Nik Carter, i fumetti e la Jobs Act.
Sta tutto nel finale di quel programma, dove appariva in chiusura un piccolo cinese che -fisicamente ma non nella saggezza- somigliava un po’ a Renzi, con gli incisivi sporgenti, Ten, che con le sue pillole da “Dice il Saggio” trovava sempre un aforisma in rima, adatto e suadente per ogni situazione. Me ne sono tornati in mente tre. Il primo, proprio sulla Jobs Act.
DICE IL SAGGIO:
QUESTA STLADA VA CAMBIATA O SUCCEDE UNA FLITTATA!
Il secondo su premier, governo e parlamenti:
QUANDO C’E’ UN FALSO DOTTOLE, PUO’ ACCADELE CHE SI MUOLE..!
Ed il terzo, ed ultimo, su questo popolo che tarda a trovare una strada migliore:
QUI SE UN FLENO NON TLOVIAMO, PLIMA O POI CI FLACASSIAMO!
Allivedelci alla plossima puntata!
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