La sottosegretaria leghista alla Cultura che rivendica con fierezza il suo triennio senza letture è, in fondo, compagna di partito del segretario del Pd addolorato per l’abdicazione di una reginetta della televisione trash.La politica ridotta ad una melassa indistinta, un blob dentro cui il desiderio di apparire popolari sovrasta ogni buon gusto.Io non sono certo il primo interprete del pensiero di Pasolini, ma mi pare che oggi si stia avverando la vecchia profezia: il consumismo che ci intorpidisce e ubriaca attraverso il totalitarismo televisivo, ci toglie il bisogno di porci domande e cercare risposte, molto più di quanto seppe fare lo stesso fascismo.La sottosegretaria alla Cultura forse era sincera, quando ammise di non leggere un libro da tre anni. Però io non credo fosse un’ammissione, piuttosto un manifesto. Leggere è perdere tempo, bisogna correre correre correre e cercare risposte nelle pagine di un saggio o di un romanzo è hobby da gente col culo al caldo, ricca o con lo stipendio sicuro, mentre se noi Popolo ci rammollissimo con questi passatempi saremmo distolti dal traguardo che dobbiamo raggiungere, anche se in questo deserto senza riferimenti non si sa più dove andare e per cercare cosa. Ma tu non ci pensare, corri e zitto.La televisione di Barbara D’Urso io ogni tanto la guardo, esattamente come un oggetto di studio. E mi cadono le braccia quando leggo post di celebrati intellettuali che prendono le parti di Zingaretti e difendono il suo desiderio di essere popolare, di rappresentare il vasto pubblico di Pomeriggio 5 depresso per l’addio della conduttrice.
Non c’è nulla di vero, in quella trasmissione: liti da pianerottolo su argomenti infimi, contese da pollaio che speculano sulla nostra umana predisposizione a parteggiare per l’uno o per l’altro, interviste a politici in cui i due conversatori si danno del tu, in un’atmosfera di mortificante intimità.
Il salotto di Barbara D’Urso è la versione nostrana del wrestling americano, non a caso uno dei terreni di caccia al consenso di Donald Trump: ecco che torniamo alla melassa indistinta, dove nulla si distingue. E’ puzza sotto al naso dichiarare il proprio disprezzo per quel tipo di televisione o, semplicemente, escluderla dal proprio orizzonte di interessi?
Non credo: la vita è breve, bisogna amministrare il tempo e selezionare le priorità.Ho passato le ultime settimane a guardare vecchie puntate di Telefono Giallo, le inchieste di Corrado Augias andate in onda tra la metà degli anni ottanta e i primi anni novanta.
Ustica, Roberto Calvi, Franco Sindona, Mino Pecorelli, il Gruppo Ludwig e altri casi di cronaca, magari minori ma significativi.
Andava in onda in prima serata, Telefono Giallo, e faceva il pieno degli ascolti.
Potrebbe andare in onda, oggi, un format come quello?Non credo. Non si sente più molto bisogno di porsi domande sul nostro passato e la nostra razione quotidiane di dibattito la appaghiamo parteggiando per questo o quel personaggio televisivo, poco cambia che sia un tronista di Maria De Filippi o un capopopolo da Giovanni Floris.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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