È una lotta che si disputa nel buio, sotto un piumone in una fredda notte di dicembre. – Glielo dico? – Cerca a tentoni il cellulare poggiato sul comodino, la carezza sul display gli illumina il viso colorandolo di un pallore spettrale. – Lui lo deve sapere, prima di tutti gli altri – Ma c’è quella dannata paura delle conseguenze che gli impone di stare fermo e zitto, di non uscire dal cantuccio confortevole del non detto, di non muoversi di là, di non fare niente e restare assolutamente immobile. In silenzio. E, fra tutti i pensieri che galleggiano, riemergono anche quelle battute dolorose e frequenti “ma quello è un frocio”.
La luce del display si spegne e la stanza piomba di nuovo nell’oscurità, resta solo l’eco dell’immagine del poster di Higuaín che dopo un po’ si dissolve dentro un buio feroce responsabile di esasperare le domande. Eppure c’è quel bisogno, sempre più impellente, di comunicargli che sente dentro di sé qualcosa che non può essergli attribuita come una colpa, sebbene la percepisca come tale. Deve parlare, per non sentirla più quella maledetta colpa. – Glielo dico? – Accarezza di nuovo il display, ora è convinto. Clicca sull’icona di WhatsApp.
“Ogni volta che ti dico così, anche scherzando, tu non ci credi. Ma dovresti, perché è proprio così: sono gay. E’ difficile dirlo perché è molto rischioso, è rischioso per la nostra amicizia e ti giuro non vorrei che finisse per nessun motivo al mondo perché è bellissima. Ma devo farlo, devo dirtelo perché non posso più tenerlo dentro. Il fatto che sono gay e che ho sempre pensato che tu sia un bel ragazzo non significa però che tu mi piaccia, cioè mi spiego meglio: per molti essere gay significa provarci con tutti. Io non sono così! Io non sono quel tipo di gay che tu descrivi ogni volta che si parla di loro, non appartengo a quello stereotipo. Sì, mi piacciono i ragazzi anziché le ragazze e faccio parte di una minoranza alla quale tu non appartieni. Davvero vorrei mi accettassi per quello che sono e se per te avere un amico gay è un problema, potrei far finta di non esserlo. Ma, ti prego, ti prego, non abbandonarmi perché per me sei una persona molto importante. Dopo questo ti chiedo di non parlare con nessuno di questa cosa perché è un segreto e siccome tu dici di saperli mantenere, vorrei che lo facessi anche col mio. E, seconda cosa, non rispondermi subito. Prendi un po’ di tempo, rifletti. Rifletti per bene.”
Ripone il cellulare sul comodino, non sa ancora se sentirsi meglio o peggio. Il peso ingombrante del segreto non lo avverte più, ma non è sparito. Ha semplicemente fatto un salto di qualità, barattato con la preoccupazione della risposta.
Archivia l’idea di controllare accanitamente le due spunte grige nella speranza di trovarle blu al risveglio. Cerca di dormire, ora.
“Ciao Xxxxxxxx, ho sempre saputo questa cosa. Qualche volta a scuola, senza accorgertene, ti è anche “scappata”. Come l’altra volta a casa quando mi hai detto che con le ragazze non hai mai provato nulla. L’ho capito dalla prima volta che ci siamo avvicinati. L’ho sempre saputo, ma aspettavo che me lo dicessi tu. Ti chiedo scusa se qualche volta con le mie battute ti sei sentito discriminato e la nostra amicizia se deve finire, non finirà per questa cosa. Perché ripeto… l’ho sempre saputo. Ti sono vicino “
La reazione di quell’amico, il suo migliore amico, vagamente omofobo non l’aveva contemplata neanche nella più ottimistica delle previsioni. In realtà aveva scelto di raccontargli della sua omosessualità con lo stato d’animo di chi si mette alla ricerca di qualcosa nonostante la convinzione di non trovarla; ma fa comunque un tentativo sperando che per un incomprensibile caso ciò che si cerca, e che dà ormai per introvabile, sia finita in un angolo al quale non aveva mai pensato.
– Ragazzi, posso raccontare questa storia in un post? – chiedo loro al termine della chiacchierata. – Sì, se crede che possa essere utile a qualcuno che si trova nella mia stessa situazione… –
E allora non ho dubbi: sono i miei personaggi del giorno, insieme alla loro indistruttibile amicizia di diciottenni. Così sincera e robusta perché nutrita dal rispetto per l’altro. Tanto preziosa da abbattere i muri del pregiudizio. Talmente matura da insegnare qualcosa agli adulti.
Giù il cappello, per favore.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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