Ci sono cose che nel mio periodo di ortodossia giovanile facevo di nascosto. E se le facevo pubblicamente la cosa mi provocava accuse di incoerenza. A esempio il casino a scuola. Mi piaceva molto farlo e quando mi beccavano mi sospendevano. Accettavo la sanzione ma trovavo seccante che certi miei compagni di militanza politica mi sgridassero per la “goliardata qualunquista”. Sul piano delle azioni di natura più direttamente culturale invece cercavo di tenere una certa riservatezza. A esempio ogni tanto rileggevo Giovannino Guareschi e mi piaceva molto. Mi piace tuttora. Ma sapeste quanto era vietato. Erano tempi bui. Per dirne un’altra, nonostante militassi in un gruppo marxista-leninista di stretta osservanza stalinista, ero attratto da Trockij. C’era una scuola quadri alla quale partecipavo come docente (immaginatevi il livello) e una volta spiegai che l’avversione di Stalin verso il suo ex compagno era dovuta a questioni di potere e non di ideologia. Apriti cielo. In quattro e quattr’otto mi ritrovai sotto processo con l’imputazione di “nemico del popolo”. Penserete che fosse roba grave. Ma a quei tempi quell’accusa la si appioppava a tutti alla minima mancanza. Venni assolto e riabilitato. Ricordo che durante il processo un compagno svolse un lungo intervento per dimostrare che tra me e il popolo non c’era una vera e propria inimicizia ma piuttosto una momentanea incomprensione destinata a sanarsi. I giudici lo stettero a lungo a sentire prima di accorgersi che li stava prendendo per il culo e metterlo a sua volta sotto processo per lo stesso reato. Ah, i ricordi, come ti fanno divagare. Volevo arrivare al fatto che tra le passioni che non manifestavo pubblicamente c’era quella che ora si chiama delle sliding doors, della controfattualità nella storia. Faccende tipo “Se Napoleone avesse vinto a Waterloo che cosa sarebbe cambiato?”. Era roba vietatissima. Figuratevi, con i maestri di formazione idealista crociana virata a storicismo marxiano che circolavano in quei tempi, parlare di cose del genere significava che eri qualunquista, forse addirittura fascista, anche se avevi ancora la faccia gonfia perché poco prima ti avevano picchiato i fascisti. Comunque sia, se appena ti discostavi dal rigido determinismo e dalle misteriose ma ineluttabili leggi che guidano la storia e che nulla lasciano alle porte girevoli, eri fuori. E quindi questi esercizi li facevo con pochi intimi. Una volta in primo anno di università raccontai tanto bene a una collega di Nuoro una prima guerra mondiale in cui non tradivamo la triplice e la combattevamo alleati di Austria e Germania, che lei all’esame fece un casino bestiale e dopo, ogni volta che le proponevo di studiare insieme (era bella come l’aurora), mi mostrava il dito medio. Però mi piaceva soprattutto il periodo fascista e mi immaginavo – quella sì che era proprio una coglionata, ma era tanto per giocare – un Fascismo buono in cui trionfavano il razionalismo architettonico e il funzionalismo industriale a forte partecipazione operaia, con un’Italia bella e pervasa di benessere più che di statalismo assolutista. Il Fascismo mi affascinava perché mi è sempre apparso come un periodo talmente poco ineluttabile e così casuale in tutti i suoi accadimenti che per i miei instead of era un terreno ideale. Casuale la presa del potere, incredibile il consolidamento dello stesso pur dopo il delitto Matteotti , sino al colpo di stato del ’43 che ancora una volta era quanto di più fortuito e pasticciato si possa pensare. Ma dirlo era vietatissimo. Tutto nell’Italia liberale di quegli inizi di anni Venti, secondo la storiografia ufficiale, portava ineluttabilmente alla dittatura di Mussolini. Qualche anno fa, quindi, in un incontro con lo storico del Fascismo Emilio Gentile, ripensai a questa mia passione giovanile clandestina quando lui, parlando del suo nuovo libro sul totalitarismo in Italia, fece una digressione sulla rivoluzione bolscevica: “La presa di potere dei bolscevichi fu talmente casuale che paradossalmente si potrebbe dire che dopo la rivoluzione di febbraio del 1917, in quel giorno di aprile in cui si recava ai luoghi del potere centrale, se Lenin avesse perso il tram o se qualcuno gli avesse sparato non ci sarebbe stato l’Ottobre e la storia della Russia sarebbe stata diversa”. Un’esagerazione voluta per fare capire che il determinismo non è lo strumento migliore per capire la storia. Lo attesi al termine della conferenza e gli chiesi se pensasse che il primo governo fascista fosse un evento altrettanto evitabile o in quel 28 ottobre del 1922, se Facta avesse ordinato ai carabinieri di bastonare i fascisti, Mussolini il potere lo avrebbe comunque conquistato il mese dopo. Sorrise come fosse uno abituato a quella domanda. -Niente dimostra che le cose sarebbero andate così. Anzi, tutto fa pensare che se il governo avesse reagito alla prova di forza dei fascisti, Mussolini sarebbe stato arrestato o forse sarebbe riuscito a scappare in Svizzera, ma comunque la storia avrebbe avuto un corso differente. Poi Emilio Gentile cose del genere le ridisse pubblicamente e come lui giocarono a questo gioco altri contemporaneisti illustri quali Giovanni Sabbatucci e Mauro Canali. Insomma, uno sdoganamento della storia controfattuale del Fascismo che mi permette di dedicare le poche righe residue dell’agenda di oggi a Margherita Sarfatti, nata l’8 aprile del 1880 e morta nel 1961. La Sarfatti fu la più significativa tra le amanti di Mussolini, lo condizionò pesantemente nella sua formazione politica, fu la sua ispiratrice e, come dimostrò Renzo De Felice, il maggiore e contestato biografo di Mussolini, ebbe un ruolo determinante nella formazione dell’ideologia sansepolcrista e del primo fascismo di Stato. In sostanza la prima vera dittatura pervasiva di ogni aspetto della vita sociale, che secondo Emilio Gentile fu appunto il totalitarismo fascista italiano, ebbe in questa musa nascosta di Mussolini una fondamentale madre. Noi oggi identifichiamo Mussolini in quel buffone che strabuzza gli occhi nei cinegiornali Luce. Ma è necessario chiedersi come una simile macchietta abbia potuto condizionare per oltre vent’anni il destino di una delle nazioni più evolute del mondo di allora. Il fatto è che quello che ci mostrano al balcone è il Mussolini del dopo Sarfatti, dopo quel 1932 in cui l’intellettuale ebrea che lo aveva costruito venne liquidata a favore di altre amanti e di una evoluzione di quell’ideologia che lei stessa aveva contribuito a edificare. L’immagine del Mussolini gestito dalla Sarfatti nelle sue relazioni nazionali e internazionali era quella di un uomo colto, intelligente e passionale, malinconico e scuro, qualche volta aggressivo, simbolo fisico di quella sintesi tra azione e pensiero dei futuristi e dei fascisti della prima ora. Era donna e nonostante la sua superiorità intellettuale non riuscì a opporsi all’imperante esaltazione della supremazia maschile e visse quindi un’esistenza quasi nascosta sia quando muoveva molti dei fili che la legavano al Duce sia quando, con il consolidamento del regime, Mussolini le impose di farsi da parte. Già da allora Mussolini si affrettò a negare ogni ruolo della sua ex amante nella costruzione del Fascismo, questa negazione divenne ancora più impositiva dopo le leggi razziali del 1938 e l’alleanza con Hitler, quando l’ebrea Sarfatti fu costretta a lasciare l’Italia. Ritornò nel 1947 e sino alla morte non parlò mai di Mussolini, come fosse ancora vivo quel regime che aveva fatto di lei un fantasma. Come si sarebbe evoluto il Fascismo se nel 1932 Mussolini avesse invece scelto di sposarsi la Sarfatti? Intendiamoci, questo non è un gioco serio, perché questo è uno dei pochi casi in cui la storia è davvero ineluttabile: se l’ha cacciata era perché non era più funzionale al tipo di fascismo che il mascellone aveva in testa. Ma giochiamo egualmente, senza pretese scientifiche. Innanzitutto chiariamo che quello che questa donna contribuì a edificare non era affatto un fascismo “buono”. Il fascismo è fascismo e basta. Ma mancavano alcuni degli aspetti marcati poi nella svolta imperiale e staraciana. A esempio il ruolo della cultura, straordinariamente importante nel fascismo sarfattiano, dove il mito delle bestie violente e ignoranti era dedicato solo alla manodopera squadrista, non alla classe dirigente. Tutto fa pensare che una permanenza della donna dietro il potere avrebbe dato direzioni diverse all’arte, alla letteratura, all’assetto dell’istruzione. Segnali della sopravvivenza di queste correnti originarie sono del resto in quella cultura parallela di cui parla Ruggero Zangrandi nel “Lungo viaggio attraverso il Fascismo”, che dal jazz semiclandestino ai dibattiti anticorporativi sulla permanenza delle classi sociali, dipinge un segmento culturale che non si capisce bene se fosse antifascista a sua insaputa o diversamente fascista. Sarfattiano? Poi il ruolo della donna e della famiglia. La Sarfatti era meno femminista delle suffragette inglesi, ma non condivideva certamente il destino di casalinga riservato alle donne italiane e aveva una concezione paritaria delle famiglia. Si può dire insomma che quando con Mussolini passò dal socialismo al fascismo, Margherita della ideologia originaria si portò appresso molto più del futuro Duce e nonostante non fosse fautrice del suffragio universale avrebbe senz’altro imposto un problema di emancipazione femminile. Forse la legge Merlin sarebbe arrivata in anticipo e si sarebbe chiamata legge Sarfatti? Giochiamo a pensarlo. Ma anche lei era ambiziosa e amante del potere e probabilmente così come non ebbe il coraggio di rivendicare il diritto di voto per le donne, non avrebbe avuto neppure quello di abolire la prostituzione di Stato, troppo connaturata alle viscere dell’Italia fascista. E anche di quella “democratica”, purtroppo. Amava il potere che non avrebbe potuto ottenere formalmente in quanto donna e usò Mussolini per raggiungerlo: sottovalutando l’indipendenza del suo amante, tanto che all’improvviso si ritrovò ripudiata, e sopravvalutandone la statura politica. Con la Sarfatti, probabilmente, non ci sarebbe stata l’inutile avventura coloniale che creò la stupida illusione dell’impero; e la sirena Churchill che attirava l’Italia verso un’alleanza antitedesca e in prospettiva antisovietica, forse sarebbe stata ascoltata. Questo significa che se Mussolini avesse legiferato a favore del divorzio (ma con i Patti Lateranensi del 1929 la vedo dura), avesse mollato Rachele e si fosse sposato con Margherita adesso ci sarebbe ancora il Fascismo? E magari anche un Savoia al Quirinale? Dio mio, che paura! Basta con questo gioco.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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