Porto Torres, anni cinquanta, un paese di circa diecimila abitanti, povero, che a dieci anni dalla fine della guerra cercava con grande sacrificio di risollevarsi dalla miseria comune a tutto il meridione e a tutta la Sardegna. Un’economia basata sulla pesca, sui traffici portuali, sull’agricoltura e su qualche attività artigianale, ma già si intravvedono i primi fermenti del boom economico che ne avrebbe fatto uno dei maggiori centri industriali d’Europa. Una scuola elementare (il De Amicis) e una scuola media ospitata in un vecchio edificio dal pavimento in legno che era stato l’ambulatorio comunale; due chiese, la Consolata (vicino al porto) e san Gavino, a Monte Angellu; due preti, don Fenu alla Consolata e don Pulina, lu caròniggu, a san Gavino. La Consolata era la chiesa dell’élite turritana, quelle delle famiglie più in vista, dei Bazzoni, dei Piga, dei Biccheddu e di pochi altri. San Gavino era invece la chiesa del proletariato, la Parrocchia dove si impartivano i battesimi e le prime comunioni, dove ci si cresimava, si celebravano i matrimoni e si dava l’ultimo saluto ai defunti. E’ proprio a metà degli anni cinquanta che arrivano a Porto Torres due giovani sacerdoti, don Sanna e don Manconi, poco più che due ragazzi: magro, apparentemente timido e riservato il primo, estroverso, pacioccone e animatore dei tanti bambini che frequentavano gli ampi sterrati attorno alla basilica il secondo. Due personalità molto diverse che hanno attraversato gli anni della crescita turbinosa della ormai “città” di Porto Torres. Ma oggi devo parlare di don Sanna che qualche giorno fa ci ha lasciato. Sì, don Antonio Sanna, don Tonino per gli amici, giovane vice di una figura austera quale era monsignor Pulina. Don Sanna, quel sacerdote dall’aria timida ma dagli occhi vispi e dal sorriso accattivante, quel giovane prete che la musica ce l’ha nel sangue, negli occhi, nelle mani con le quali dirige il coro che pian piano prende forma e nel ’59 il primo concerto: aveva messo insieme, da autodidatta, un gruppo di ragazze e ragazzi che non conoscevano altra musica se non quella trasmessa dalla radio (ancora non c’erano i juke box), li fece cantare insieme in quello che diventerà il Coro Polifonico Turritano, un fiore all’occhiello che si esibirà in tutta Europa mietendo successi. Ma don Sanna era un prete atipico, un prete che aveva tanti interessi, amava discutere, sapeva di politica, si occupava dei problemi sociali e viveva con partecipazione le trasformazioni della società e della comunità portotorrese. Era un uomo aperto, di grande cultura e dall’enorme capacità di comunicare laicamente con tutti e di tutto. Profondo conoscitore della nostra società, ha vissuto con partecipazione le trasformazioni sociali, culturali ed economiche di Porto Torres, la città industriale, la Stalingrado sarda. Una comunità variegata e multietnica, nel senso italiano del termine, quella che frequentava la sua parrocchia, dove si parlava delle trasformazioni civili, dell’introduzione del divorzio nella legislazione italiana, dell’aborto, dove si affrontava il dialogo politico tra cattolici e comunisti, e dove don Sanna ha sempre mostrato grande competenza, autonomia e apertura nei confronti di ideologie tradizionalmente atee. Nelle sue omelie, critiche contro la società opulenta e consumista, era una costante la condanna degli egoismi, delle politiche individualiste e imperialiste, dell’ipocrisia di chi predica bene e razzola male. Nel ’93, quando il PDS (l’erede del PCI) vinse le elezioni col nuovo sistema elettorale e Dino Dessì divenne sindaco, si era pensato a don Sanna come assessore, e sarebbe stato l’uomo giusto in diversi settori dell’amministrazione comunale, dai servizi sociali alla cultura ai problemi dei giovani, tanto era vasta la sua conoscenza, la sua versatilità, il suo eclettismo, il suo rigore morale, la sua disposizione al dialogo e il suo evidente pragmatismo. Si era subito mostrato fiero e onorato alla proposta, e ci aveva pensato qualche secondo, ma subito, per quanto compiaciuto, aveva “suo malgrado” declinato l’invito: problemi di carattere ecclesiale, di sospensione a divinis, sia pure temporanea, di distacco dalla sua parrocchia e dai suoi parrocchiani, dalla sua chiesa di cui era una guida insostituibile. La sua chiesa, Cristo Risorto, che aveva fondato intorno al settanta, seguendone giorno per giorno la costruzione (stile capannone industriale e dall’estetica improponibile), è divenuta il punto di riferimento delle centinaia di famiglie di lavoratori dell’industria, operai, tecnici e dirigenti. Ha celebrato il mio matrimonio, ha cresimato miei figli, ha battezzato due miei nipoti e li ha anche cresimati. Ha celebrato il funerale di Bruno, il 17 maggio del 2013, e alla fine della messa è venuto a darmi le condoglianze, mi ha abbracciata e mi ha detto: “Devi essere orgogliosa, avete messo su una bella famiglia col tuo sposo”. Si, don Sanna è stato un pilastro per la nostra città, un grande uomo, un grande prete, un grande intellettuale. E’ stato un portotorrese illustre, non per nascita ma per vita. Ciao, don Sa’, hai lasciato una bella eredità a don Michele..
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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