Non conoscevo Doddore Meloni, se non attraverso i resoconti delle sue eccentriche iniziative o le sue dichiarazioni pubbliche. Era un uomo con le sue idee e le sue azioni, con un suo percorso esistenziale finito poche ore fa in un penitenziario. Non so se vi sia colpa di qualcuno, nel non aver concesso a quest’uomo condizioni di morte più umane. Un uomo non andrebbe mai lasciato morire in carcere e non trovo giusto che un uomo di 74 anni sia costretto in cella. Ma è solo un mio punto di vista, non conosco i fatti nel dettaglio e ben me ne guardo dall’avventurarmi in commenti azzardati. Oggi leggo da più parti che Doddore è stato un eroe della resistenza sarda, perseguitato dallo Stato italiano per le sue idee indipendentiste e perciò lasciato morire in carcere. Uno dei primi a cavalcare la teoria della persecuzione politica è stato Salvini. Ripeto, Salvini, estensore di questo post Facebook: “Buon viaggio a te, Doddore, e vergogna per uno Stato che lascia liberi assassini e specciatori, ma incarcera le idee”: Leggo anche anatemi contro chi ha cercato di fare chiarezza sulla posizione giudiziaria di Meloni, precisando per dovere di cronaca che non si trattava di un prigioniero politico ma di un condannato per evasione fiscale. Chi ha puntualizzato quest’ultimo aspetto è stato trattato da sciacallo o avvoltoio, come se cercare di ricostruire i fatti fosse un delitto. E invece sarebbe nello stesso interesse di chi invoca giustizia una equa ricostruzione dei fatti, per capire fino in fondo la vicenda giudiziaria di Doddore e liberarla da basse operazioni di propaganda. C’è chi reclama un rispettoso silenzio verso un uomo che ha appena concluso la sua parabola terrena ma, nello stesso tempo, è il primo a eludere questa consegna della bocca cucita, trasformando un attivista politico come tanti in un eroe perseguitato a morte dallo Stato assassino. Era un eroe, il fondatore dell’effimera Repubblica di Malu Entu, o un uomo come tanti? Facciamolo dire ad una voce indipendentista, quella di Michela Murgia, leader di Sardegna possibile e candidata presidente dell’area identitaria alle ultime elezioni regionali. Queste sono parole scritte sul blog della scrittrice nel febbraio del 2013, all’indomani del rocambolesco, presunto sequestro di Doddore: “Io in Doddore Meloni non ci trovo niente di divertente. Non mi fa ridere il suo spregio per le regole e per la legalità, la superficialità con cui si autoproclama presidente di porzioni di territorio che appartengono a tutti, né le pagliacciate pubbliche con cui si conquista gli spazi sui giornali. Soprattutto mi vergogno quando sento la parola “indipendentista” accostata a un uomo che da anni sta rendendo risibile e personalistico il cammino di altri sardi verso l’autodeterminazione. Perché alcuni partiti indipendentisti continuano a dare credibilità a questo signore, facendo con lui accordi elettorali, mettendo la sua faccia sui propri manifesti e proclamandosi con lui attori di una lotta comune? Non si rendono conto che ogni volta che Doddore Meloni parla davanti a una telecamera, un indipendentista muore?”.
A chi oggi parla di Stato assassino di un indipendentista segregato e ucciso per la sua diversità ideologica, chiederei di uscire dall’astrazione e di fare nomi e cognomi, di dettagliare attraverso quali percorsi e attuatori sia avvenuto questo delitto di Stato. Se si vagheggia di mandanti e esecutori, bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo, di spiegare in quali occulte stanze del potere si sia deciso che la voce di Doddore andasse messa a tacere. Se queste risposte non arriveranno, dovrò concludere si sia trattato solo di patetica e sconclusionata dietrologia. Il solito complotto inventato, quando non si hanno argomenti. Le solite insinuazioni gratuite, senza un minimo di fondamento perché in questa morte si possa vedere solo un grammo di cospirazione. Doddore il suo indipendentismo l’ha potuto professare e praticare per tutti i 74 anni della sua vita, ha potuto viaggiare in gommone verso Malu Entu e piantarvi le sue bandierine. Credo, tra l’altro, che per quell’azione sia stato anche assolto, da quello stesso Stato che taluni vedono come suo carnefice. Doddore non aveva un consenso che potesse condizionare la vita politica sarda né giustificare occulte manovre dello Stato contro di lui. Fino a prova contraria, non esiste alcuna relazione tra la sua vicenda giudiziaria e il modo in cui ha condotto le sue azioni politiche. Non c’è nessuna libertà di espressione negata, nessun diritto violato. Doddore va rispettato per le sue idee e ha diritto alle stesse lacrime di dolore che si devono ad ogni uomo che lasci questa terra. Ma va rispettata anche la verità dei fatti e difeso il diritto di ricordarla.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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