Sapevate che Dirceu si è fermato a Eboli? Proprio come il Cristo di Carlo Levi?
Il fatto è che tutto gira in fretta, troppo in fretta. La fama può essere effimera e il calcio non sfugge certo alla regola. Il brasileiro Dirceu avrebbe compiuto oggi 64 anni se, nel settembre del 1995, quando aveva 43 anni, non si fosse schiantato con la sua auto nella periferia di Rio de Janeiro.
Per due anni il Curitiba nemmeno mi ha pagato, dicevano di non avere i soldi. E io non protestavo, non ci badavo: era la squadra della mia città, era tutto
Io me li ricordo i riccioli di Dirceu e la sua classe sopraffina, la sua eleganza e soprattutto le sue punizioni “a effetto”. La sua è una delle tante storie brasiliane di gente povera che costruisce il “sogno” grazie a un pallone. Da piccolo non fa altro che prendere a calci una palla, sfasciare i vetri delle finestre e far incazzare la madre. Non il padre, conciatore di pelli, che gli prepara scarpette personalizzate. Nel 1978, il suo anno migliore, ripaga tutti con gli interessi. Investe i soldi dell’ingaggio con una squadra messicana per comprare il campetto da calcio di Coritiba, dove ha cominciato a giocare, per costruirvi attorno una serie di palazzine, regalandole al padre, al fratello e alle sorelle.
Nel ‘ 74 ero nella nazionale che partì per la Germania. Eravamo i mostri sacri. Lo si poteva avvertire da come la gente ci guardava, la maglia gialla faceva un grande effetto su tutti. Ci portarono a Dortmund a giocare contro l’ Olanda dopo una preparazione massacrante. Ricordo come fosse oggi i tanti medici al seguito, i test psico-fisici, sembrava quasi che noi fossimo i nordici e gli olandesi intanto… lasciamo perdere gli olandesi… se la spassavano, arrivarono con mogli e lattine di birra e la sera li trovavi sempre fuori. Sembravano brasiliani. (…) Dopo la partita mi misi a piangere, ci avevano abituato a considerarci i più forti, non sapevo accettare l’ idea contraria. Pensavo ai milioni di brasiliani che avevo deluso, a quelli della mia città… Poi capii. Il Brasile che avevamo in testa noi non esisteva più. Era scomparso nel ‘ 70, per sempre. Ora il calcio era diventato un’ altra cosa: tantissimo agonismo, meno tecnica, meno fenomeni; era un calcio nato per distruggere, non per costruire.
Dirceu è lo zingaro del calcio. Gioca in un numero impressionante di squadre. In Italia gira Verona, Como, Ascoli, Napoli prima di decadere nelle serie inferiori. Ed è nel 1989 che finisce a Eboli, in serie D, dove resterà un paio di stagioni. Gli dedicheranno lo stadio, a Eboli. E’ forse l’unico calciatore al mondo a celebrare la partita d’addio, nel 1991 al San Paolo, salvo ricredersi e riprendere a giocare, prima in Turchia e poi in Messico. E ancora nel calcio a cinque sempre in Italia.
Ero a Rio in compagnia di amici italiani. In spiaggia c’ erano i soliti ragazzi che tiravano calci al pallone. Interessante, dicono gli amici, che squadra è? Non ho avuto il coraggio di dire che erano dei muratori nell’ intervallo di lavoro.
In ricordo di Dirceu José Guimarães, detto Dirceu. L’intervista è tratta da un articolo di Emanuela Audisio per “La Repubblica”.
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