Con le sue stupefacenti parole, il vescovo Atzei rischia di vanificare in un colpo solo gli sforzi quotidiani di chi combatte ogni giorno, nel suo piccolo, contro l’intolleranza, il pregiudizio, la paura del diverso. Lavorando nell’ombra per l’integrazione nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri d’aggregazione, ovunque vi sia mescolanza etnica. Che ci piaccia o no, questa mescolanza sarà sempre più la nostra realtà quotidiana: da un uomo di Chiesa con quella visibilità ci si aspettano parole tese alla concordia, non che ripeta il “prima gli italiani” come un militante di Forza Nuova. Al contrario, dall’intervista di Atzei si sentirà legittimato chi ogni giorno soffia sul fuoco dell’odio, dello scontro tra civiltà, battendosi per barriere sempre più alte. I nuovi fascisti, teorici di stati a compartimenti stagni, ne faranno presto il loro slogan, iscrivendo alla causa una Chiesa che loro promuoveranno “responsabile”, per distinguerla da quella irresponsabile di Bergoglio.
Non so se il vescovo si renda conto del danno che provoca definendo “esterofili” e seguaci di una tendenza “alla moda” coloro che spendono il loro tempo per offrire aiuto e conforto ai migranti, tra i quali ci sono anche tanti uomini di Chiesa. Chi aiuta il prossimo bisognoso, non segue mode e non si attiene al curioso concetto di prossimità: aiuta, semplicemente, chi sta peggio di lui, secondo le proprie possibilità, senza preoccuparsi di che lingua parli o in quale Dio creda.
Nel breve periodo in cui ho insegnato in una scuola superiore, ho potuto constatare quanto tra le giovani generazioni siano diffusi il pregiudizio e la xenofobia, quanto nel loro vocabolario le parole migrante e terrorista siano quasi diventate sinonimi. Sentimenti che paradossalmente vengono assorbiti anche da figli di immigrati, i cui genitori hanno vissuto sulla loro pelle il dramma di questo esodo epocale. Per sentirsi integrati, anche loro devono mostrare diffidenza verso lo straniero e auspicare muri sempre più alti per negare la speranza.
Un giorno volli capire cosa ne pensassero sul muro al Brennero proposto dall’Austria e assegnai un compito sul tema. Tra le opinioni, ricordo un “fanno bene gli austriaci a respingerli, se no poi devono camparseli loro”. Nei fui molto impressionato. E fui molto impressionato dalla mancanza d’informazione e dalla presa che avevano su di loro le peggiori bufale sui privilegi di cui godrebbero i migranti.
Cercai allora di spingere questi ragazzi – le menti più esposte al dilagare del nuovo razzismo – ad un cambio di prospettiva, ad immedesimarsi nella condizione di chi fugge verso un altro mondo, cercai di farli riflettere sulla disperazione di un adulto che carica su una bagnarola i propri figli, ben sapendo che l’unica possibilità di un futuro per loro sta dall’altra parte del Mediterraneo, benché a rischio della vita. “Possibile – chiesi alla classe – che i ventimila migranti morti in mare negli ultimi mesi fossero tutti terroristi, ladri, delinquenti?”. Lessi loro la storia dell’eccidio dei sardi ad Itri, poco più di un secolo fa, una strage provocata da un pregiudizio che tante volte ci ha fatto stringere i pugni per la rabbia.
Mi resi conto, giorno dopo giorno, che questo graduale lavorio di ricerca smuoveva le loro coscienze, insinuava in loro il dubbio, notai posizioni meno rigide e maggior prudenza nell’esprimere i giudizi.
Sono sforzi che migliaia di persone fanno ogni giorno: le condizioni per la pacifica convivenza tra i popoli si creano con la conoscenza ed il confronto nei piccoli spazi in cui viviamo la nostra quotidianità.
Ma bastano poche parole di un vescovo per vanificare, in un attimo, mesi di lavoro serviti a far breccia nel muro del pregiudizio, e per indurre alla rinuncia chi ogni giorno si spende per un mondo più vivibile.
Che Dio lo perdoni.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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