La vittoria di Trump ha portato a galla alcune questioni che la sinistra non riesce ad affrontare e spesso neanche a vedere. Anzi, forse la vittoria di Trump ha portato a galla, non solo in America, soprattutto l’incapacità della sinistra di vedere e affrontare quelle questioni. Provo a riassumerne alcune: 1) la lotta di classe è sempre più di competenza della destra xenofoba, dove il termine xenofobo è da intendere alla lettera come paura verso gli stranieri; 2) manca un linguaggio di sinistra dedicato alle nuove povertà e alle nuove fasce deboli, in particolare precari, piccole e micro imprese, immigrati; 3) manca, alla sinistra e a gran parte degli occidentali, il bagaglio per leggere la globalizzazione come fenomeno sistemico prima ancora che finanziario.
La finanza è solo più rapida della cultura a incanalarsi su percorsi che si aprono e a occuparli; così fecero anche i mercanti europei dal Medioevo in poi, in giro per il mondo alla ricerca di merce; ma poi su quei percorsi iniziarono a transitare anche le bussole, la polvere da sparo, il tabacco, il cacao, i cavalli ecc. La globalizzazione è un discorso strutturalmente più ampio di come la dipingono i populismi di destra e di sinistra, e riguarda la tendenza della vita in tutte le sue forme a cercare continuamente nuove combinazioni e nuovi equilibri. Le grandi migrazioni sono questo, è vita che si sposta.
Destra e sinistra invece hanno, almeno in Italia ma credo non solo qui, due modi diversi e comunque sbagliati di guadare al fenomeno. Entrambe tendono a diffidare della globalizzazione, ma mentre la destra sogna la chiusura delle frontiere, ottenendo vantaggi elettorali nel breve termine, la sinistra si limita a difendere le politiche di accoglienza (e ci mancherebbe) senza però guardare alle conseguenze e soprattutto al contesto e al significato a Iungo termine di questo rimescolamento globale. Che Russia, Europa dell’Est e Cina accedano all’economia di mercato non può non avere effetti sul costo del lavoro, sulla concorrenza nelle manifatture, sul potere d’acquisto dei salari. Che parte consistente dell’Africa si sposti da aree povere a aree ricche invece, costringe a interrogarsi su idee come ricchezza e risorsa.
A me sembra che in Italia l’establishment politico non abbia la forza né la voglia per avviarsi a una riflessione come quella che ho indicato, e che per lo più si ragioni nel breve termine, mossi soprattutto da impellenze di tipo elettorale. Ma il fallimento della sinistra sta tutto qui, e la vittoria di Trump è l’ennesima occasione per rendercene conto. Bernie Sanders, altra figura su cui la sinistra italiana si è impigliata in queste ore, ha già dichiarato che se Trump lavorerà per difendere gli americani che si sentono in difficoltà, avrà l’appoggio anche dei Democratici progressisti, se invece lavorerà a costruire muri e a soffiare sull’odio xenofobo, troverà una dura opposizione. Il punto è che Trump è stato eletto perché ha promesso di fare entrambe le cose: proteggere chi sta male dalle insidie di chi sta peggio. La morte della sinistra, in particolare di quella italiana, sta in gran parte nel non riuscire a barcamenarsi in questo dilemma.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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