Credo che a certe persone sia dovuta l’indifferenza. Ma poi mi sono ricreduto, quando vedi che il rigurgito del complesso di inferiorità dei sardi è sempre in agguato di fronte al “buana” di turno. Il dibattito sui sardi e sul loro rapporto con il turismo esiste da tempo ma quest’anno ha avuto un picco di intensità notevole. La maggior parte del dibattito, in realtà, è il risultato di quei tipici condizionamenti che l’egemonia culturale crea sui popoli sottomessi sul piano economico. Allo sfruttamento economico, infatti, si accompagna sempre una propaganda pervasiva tendente a giustificare quello sfruttamento ed anzi ad alimentare il suo ciclo. La sparata dei “buana” di turno, siano essi giornalisti, opinionisti, imprenditori, gente dello spettacolo, persone in vista come in quest’ultimo caso di Briatore, si inserisce in questo contesto. Fateci tappeti d’oro, perché noi sappiamo come si fa turismo, non voi. Nello stesso modo si utilizza quel sistema che i sociologi definiscono come “incolpa la vittima”. Si utilizzano, cioè, gli stessi strumenti dello sfruttamento come un marchio di inferiorità. Proviamo un attimo a riflettere su questo punto. Spesso la Sardegna soccorre, con risorse sue, a compiti che, per Costituzione e anche per prassi, sono in capo allo Stato. Nel caso della continuità territoriale sia aerea che marittima, se ne parla come se la colpa fosse solo dei sardi, e come se, invece, non fosse un tema di rilevanza nazionale, tacendo di quegli intrecci tra imprese e Stato che ha sempre messo ai margini l’isola. Però, naturalmente, si deve far credere che la colpa è dei sardi. Naturalmente i sardi stessi si macinano in infinite polemiche rinfacciandosi la colpa tra le forze politiche, sociali e culturali in campo, spesso strumentalmente, dimenticandosi che ferrovie, antincendio (cioè protezione civile), continuità territoriale, beni culturali (i Giganti restaurati con fondi regionali!) e tante altre questioni, in realtà, sono in capo allo Stato, che naturalmente gode di queste divisioni e non fa nulla, anzi. Ma il ritornello tipico è l’attacco nei confronti della cultura sarda, in particolare della cultura pastorale. Il più grande attacco alla cultura pastorale sarda incominciò con “Il rifiorimento della Sardegna” del Gemelli di fine ‘700, per proseguire con il dizionario del Casalis e dell’Angius nei primi decenni dell’800, non a caso nel momento dell’avvio del grande scempio del disboscamento dell’isola, ostacolato, in particolare, dalle istituzioni comunitarie del popolo, viste, perciò, con il fumo negli occhi. Più recentemente si ricorderanno gli sforzi, in epoca in cui i finanziamenti della rinascita, anni ’60 e ’70, facevano girare la testa a industriali e finanzieri della “razza padrona” nordista, per anteporre la cultura pastorale, dei “padri padroni”, a quella moderna della fabbrica. Ormai lo stereotipo della Sardegna pastorale portatrice di malessere si era affermata al punto che un giornalista progressista come Giorgio Bocca, negli anni ’90, poteva parlare tranquillamente di “modesta cultura pastorale”. Ora da antropologo (di mezzo sangue, mezzo padano e mezzo sardo, specifico per dire, sono neutrale), mi viene da ridere di fronte ad una frase del genere, per il semplice motivo che in Sardegna esiste una cultura antropologica (si pensi solo alla musica etnica o alle gare poetiche), studiata dagli antropologi in quanto unica. Per essere ancora più chiari, in Sardegna esiste un ethnos, altrove no. Sono le contraddizioni dell’egemonia culturale, che riesce, con la propaganda concentrica, a far sparire per magia storia, tradizioni e cultura. Del resto hanno fatto sparire migliaia di monumenti archeologici e una delle più antiche civiltà del Mediterraneo dai libri di testo, figurarsi un bene immateriale come la cultura. Ecco perché una sciocchezza del tipo “meglio gli yacht che i musei”, rischia persino di attecchire nell’animo castigato di chi ha subito, per secoli, una propaganda e un lavaggio del cervello tendente a fargli credere che per elevarsi al rango delle geografie ricche, bisogna scopiazzare ed imitare il loro modelli di sviluppo. Solo che i modelli di sviluppo delle geografie ricche sono tutti, nessuno escluso, anche in quei paesi che riteniamo più “civili”, fondati sullo sfruttamento, attraverso il sistema delle multinazionali, di altre aree geografiche. Quindi, imitando i modelli di sviluppo che ci suggeriscono, occorre prima fermarsi a riflettere: chi fa la parte dello sfruttato e chi dello sfruttatore? Per non sbagliare, allora, occorre fare esattamente il contrario di quello che suggeriscono costoro. Disprezzano la pensione di zia mariuccia? Bene, quello è il modello da perseguire. Cento, mille, diecimila pensioni di zie mariuccie, che è esattamente quel tipo di ospitalità a conduzione familiare che ha reso il Trentino regione all’avanguardia nel turismo, ma che ha in tante parti della Sardegna, penso ad esempio a Dorgali, Baunei, e ai tanti BeB sorti nell’isola, un esempio assolutamente positivo. Disprezzano i musei? Ma i sardi sanno bene che basterebbe creare, come ho proposto e sollecitato più volte, un grande parco archeologico nel sito di Mont’e Prama, per produrre un indotto straordinario e centinaia di posti di lavoro. Ma qui si torna punto e a capo, perché i beni archeologici sono in mano, per legge, allo Stato, ed è evidente che non c’è la volontà di valorizzarli, e neppure considerare l’intera storia sarda, una “antistoria” piuttosto fastidiosa per il resto del paese. Lo possono fare ovviamente, in Sardegna, perché nonostante l’enorme patrimonio culturale e antropologico, si è fatta passare l’idea che villette e yacht siano l’unica strada per lo sviluppo. Il malloppo poi finisce fuori dall’isola, in una partita di giro, e ai sardi restano le briciole, ovviamente. Ed è bene aggiungere, e sottolineare, che non è una contrapposizione tra il turismo ricco, di élite, ed altro. Ben venga anche il turismo di élite, anche gli yacht, purché rispettosi dell’ambiente e dei sardi. Sono loro, gli altri, che vogliono le contrapposizioni. La Sardegna è una regione dal patrimonio culturale unico, straordinario, e tuttavia viene ridotta, nella visione di sviluppo turistico che ci viene suggerita, come un supporto estetico per i ricchi di oltremare. “Basta con questi musei”. Nessuno, ovviamente, si sognerebbe mai di dire una cosa simile per il resto d’Italia.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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