Me ne stavo impalato con le mani intrecciate dietro la schiena, in fondo a via Oristano, nel centro storico di Sinnai, alle ore 9 di sabato 24 ottobre 2015: pensavo agli affari miei e aspettavo che gli altri pedalatori dell’ArzachenaMaraMtb lasciassero le camere della loro pensione, poi saremmo partiti tutti assieme per tornarcene a casa. Una signora è uscita da una palazzina che al piano superiore era rustico grezzo. Ha appoggiato il portone, è avanzata di un passo, mi ha visto e fissato per un solo momento, ha iniziato a rovistare nella borsa, mi ha lanciato un’altra occhiata furtiva, è tornata sul suo passo, finalmente ha tirato fuori dalla borsa un mazzo di chiavi, le ha affondate nella serratura e ha chiuso a doppia mandata. Mi sono guardato nel retrovisore della macchina: la barba lunga di una settimana, la faccia annerita dal sole, gli occhi da rapace, la camicia tutta spiegazzata. Sembravo un profugo male in arnese, non potevo destare un’impressione rassicurante. Trasandato, sfatto dalla fatica, eppure il mio corpo invaso dalle endorfine galleggiava sulla nuvola di un sereno appagamento. Chiunque avrebbe potuto insultarmi e io avrei risposto con un abbraccio, come Gianni Morandi. Come siamo diversi da quel che sembriamo! Poche ore prima io e ad altri dodici bikers eravamo scesi dalla sella dopo cinque giorni e 400 chilometri di pedalate, su e giù per la Sardegna, scalando ogni altopiano, colle e montagna siano capitate sul nostro cammino. Io, Tore D., Paolo, Gigi, Maria, Giuseppe, Angelique, Serafino, Silvana, Tore Q., Eduardo, Nicola, Cesare, Sergio e Emiliano siamo partiti da Arzachena, alle 9,30 di lunedì 19 ottobre, e siamo arrivati a Maracalagonis alle 19.30 di venerdì 23 ottobre. Alle 19.30, buio pesto. Per l’ultima tappa, dopo essere scivolati sul morbido sterrato della vecchia ferrovia che congiunge Gairo Taquisara con la Stazione dell’Arte di Ulassai (ah, Maria Lai!) ed essere arrivati a Perdasdefogu sotto un gran giramento di pale (eoliche), abbiamo scalato il Serpeddì, partendo da Villasalto. Ma abbiamo cannato clamorosamente il calcolo dei tempi e, non appena iniziata la lunga discesa verso la piana cagliaritana, il buio ci ha inghiottiti. Ci ha salvati Gianluca, la nostra guida, illuminando la strada sotto le nostre ruote col fascio di luce proiettato dai fari del suo fuoristrada. Non so quanti chilometri abbiamo fatto in quelle condizioni, rischiando l’osso del collo sullo sterrato accidentato e ripido della Serpilonga. Siamo miracolosamente arrivati sani e salvi ed è stata una follia, ma in cinque giorni di viaggio in bicicletta non si può prevedere tutto e a volte bisogna arrangiarsi (l’ultimo Diario di sella esce in ritardo di un giorno per effetto di questo imprevisto). In via Oristano, a Sinnai, conservavo gli occhi da falco della sera prima, quando avevo usato tutto quel che resta della mia vista malandata per rotolare giù a valle, al buio, con le luci giallognole di Cagliari come un miraggio da raggiungere. La faccia me l’aveva dipinta di scuro il sole che ha illuminato il nostro cammino sul pendio del Limbara, risalito dal sentiero di Lu Salpenti, nel primo giorno del viaggio, quando una crisi di fame mi ha svuotato di ogni energia, annebbiandomi il cervello più del solito. Sui monti del Goceano no, il sole non ci ha accompagnati. Anzi, nella mulattiera tra la stazione forestale di Fiorentini e quella di Anela, sul cocuzzolo calvo di un monte, siamo finiti in mezzo ad una nuvola bassa da non vedere la punta del naso, tanto da essermi ritrovato faccia a faccia con una mucca, impressionata alla mia vista più della diffidente signora di Sinnai. Poi la pioggia ci è caduta addosso, senza sconti, nella risalita da Bono a Gavoi. Si accettano la natura e gli umori del cielo, senza imprecare: la bici insegna a non lamentarsi per il freddo nella brutta stagione, né a protestare per il caldo in estate, piuttosto a vestirsi nel modo giusto per affrontare ogni situazione climatica senza soffrire troppo. Aggirando la montagna tra Fonni e Desulo, giovedì, abbiamo pedalato per molti chilometri in assoluto silenzio. Alzavamo gli occhi verso le vette del Gennargentu, nascoste in mezzo alle nuvole, temendo di non farcela, cercando di raccogliere ogni residuo di forza fosse rimasta nelle nostre gambe. Si può avere paura della montagna, quando non la si conosce o quando non ci sente sicuri di poterla domare: è un sentimento molto umano e senza l’incertezza del risultato la sfida perderebbe buona parte del suo fascino. Quando abbiamo riacquistato la parola, ci siamo chiesti l’un l’altro perché volessimo la vetta del Gennargentu, chi ci spingesse a pedalare nell’aria gelida, profondamente invernale, di quella giornata, quando ai 1245 metri di Tascusì il termometro segnava 4 gradi. Abbiamo provato a spiegarlo a noi stessi, senza riuscire ad essere molto convincenti. Non tutto ha una risposta, non ogni comportamento umano ha una spiegazione razionale. Per fortuna. Altrimenti non si spiegherebbe perché Silvana, 65 anni compiuti il secondo giorno della ArzachenaMara, bresciana, preferisca alle comode vacanze che la sua agiata condizione professionale le permetterebbe le maratone in bicicletta: sui pedali ha girato il mondo, dai passi alpini ai 47 gradi di un tour di alcuni anni fa in Uganda, allorché le tracce delle sue ruote incrociavano le orme dei leoni (e non è un’immagine retorica). Alla fine la montagna l’abbiamo avuta ai nostri piedi, un saliscendi durato un giorno e che ha avuto il suo culmine davanti al nuraghe di Ruinas, in mezzo ad una distesa di pietre che mi ha riportato alla mente i versi di una poesia del grande Predu Mura.
Non bies che predàrjos e rubos e predàrjos, prunischeddas e chessas e predàrjos e mullones de morte in sos predàrjos.
Non c’è una vera spiegazione a tutto questo, se non nel tentativo di inseguire la pace passando dal potere purificatore della fatica e dalla meraviglia della scoperta. La felicità è un concetto in stretta relazione col movimento. Nel mondo, ognuno per le proprie ragioni, milioni di persone si spostano per cercare qualcosa. Noi abbiamo rinfrescato la conoscenza delle ricchezze della Sardegna e ne abbiamo scoperto di nuove: i suoi paesaggi, l’ospitalità di ristoratori e albergatori, i tanti sapori della nostra cucina, l’accoglienza di Gabriella, Valentina e Leandro, organizzatori della festa finale a Maracalagonis, la cura filologica con cui Debora compone, pezzo per pezzo, il suo b&b Corti Froria, alloggio della nostra ultima tappa: lo ha restaurato nel rispetto di gusti e volontà di chi quella casa l’aveva costruita, qualche decennio fa. Io so che questa Sardegna può avere nella propria bellezza la chiave del futuro. A Villanova Strisali, il sindaco Peppe Loi ha chiesto di incontrarci per esprimerci la sua riconoscenza: ha sentito il bisogno di ringraziarci per avere fatto tappa nella sua comunità. E ci ha intercettati nel piccolo albergo che, quella sera, la nostra carovana ha riempito fino all’ultima stanza. Molte aziende sarde e non credono che di questa forma di turismo possa beneficiare tutta la Sardegna: i loro loghi li trovate sulla divisa indossata dai partecipanti alla ArzachenaMaraMtb. La vera indipendenza la si conquista credendo realmente in quel che siamo e abbiamo. Il resto sarà solo una conseguenza.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design