Diario ai tempi del corona virus.
Sabato 14 marzo 2019
Momento di pausa lavorativa. Disbrigo solo alcune mail e mi trattengo con qualche collaboratore per le piccole novità con la speranza non sia accaduto nulla di grave. E non è accaduto. Ho, dunque, gran parte della mattinata e il resto della giornata a mia disposizione. Senza poter uscire. Stando a Cagliari non ho neppure l’opportunità – dalla casa dove abito – di stare vicino al mare. E questa è, davvero, una brutta notizia. Questa città è ormai come una grande scultura di Sciola: tanti quadrettini di granito uniti insieme che probabilmente emettono una musica sconosciuta. Qualcuno ha detto che quando tutto questo finirà sapremo apprezzare la bellezza della libertà, del poter uscire da questo guscio terribile e opprimente. Potremo finalmente salutare e sorridere, recarci dall’edicolante senza dover produrre nessuna autocertificazione a chi controlla, come un grande fratello, tutti quelli – pochissimi a dire il vero – che camminano per strada. Sono uscito e mi sono messo diligentemente in fila per la spesa nel supermercato vicino a casa. Ho riflettuto sulla scelta. Sono due i negozi di alimentari nella mia zona. Mentalmente ho calcolato quale fosse il più vicino, almeno in linea d’aria. Ho tracciato strade e semafori e strisce pedonali e ho deciso. Da buon cittadino, da buon italiano. Come se dovessi risparmiare ossigeno, come se dovessi giustificarmi se mi fossi trovato in un negozio più lontano di pochi metri. Ormai non ci guardiamo più. Siamo cose che camminano, che utilizzano le uscite per acquistare merce da portare nella propria casa, la propria trincea. Stiamo, lentamente, apprendendo cose nuove, movimenti nuovi, emozioni nuove. Mi sono quasi commosso nel vedere un cane da solo, senza padrone e senza guinzaglio, in questo paradosso dove noi siamo utilizzati dai nostri animali e non il contrario. Quando tutto questo passerà dovremo spiegarlo ai nostri amici fedeli e silenziosi che tutto questo aveva un senso, come il fuoco nella foresta da dove gli animali cercano sempre una via di fuga. Sorrido all’idea di essere agli arresti domiciliari per scelta. La Sardegna, da oggi, è come un grande carcere galleggiante. Chiuso a tutti e da tutto. Viaggeranno solo le merci. Non potevamo prevederlo, non potevamo disegnarlo in quel passato che era figlio di un dolcissimo e lungo dopoguerra. Ci siamo cullati sui ricordi dei nostri nonni partigiani, delle lotte dei nostri padri per il salario, delle nostre rabbie represse alla ricerca di un futuro migliore, globale, che abbracciasse tutto e tutti. Ed invece. Ritorno al passato per gioco e mi capita un vecchio album dei Genesis del 1973, “Selling England by the pound”. Forse non è il caso di vendere l’Inghilterra ormai lontana dalle politiche europee ma, forse, se questo straccio di comunità avesse effettuato, negli anni, scelte diverse magari anche la paura avrebbe contorni diversi. Mi è rimasta la musica e la bellissima copertina onirica dell’Lp dei Genesis: quell’uomo accovacciato in una panchina che si rifiuta di vedere la strada dietro di lui. Magari era un segno, magari era un’idea, un concetto, la voglia di tenere gli occhi chiusi per paura del futuro. Chissà. Buona serata abbracciatori.
Giampaolo Cassitta
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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