I saperi della terra sono saperi antichi che, come quel poco della nostra storia che noi sardi conosciamo, sono stati tramandati tradizionalmente di padre in figlio per secoli sin dai tempi dell’Era Nuragica.
Triste quindi vedere come, nell’arco di poche generazioni, i saperi della terra si siano in buona parte dispersi, fagocitati da altri mestieri che prima non c’erano. Si sono visti scomparire frutteti, vigne e ortaggi (specie dal dopoguerra in poi) e con loro molte delle sementi e quindi delle qualità che nei secoli si erano create, autoctonamente, sull’isola. Politiche agricole studiate lontano dai luoghi dove andavano poi applicate e per questo, in molti casi, inadatte sia alle prerogative che alla conformità e cultura dei territori. E se per frutteti ed orti ancora si attende (e ci si auspica) di vederne una ripresa, per la vite invece pare che questa ripresa sia già cominciata.
Sempre più vini sardi, infatti, riescono a competere e conquistare spazi nei mercati esterni, nazionali ed esteri, anche se questo periodo di bassa economia ne rallenta un tantino la crescita, ma la cultura della Vite e del Vino sono rimaste per fortuna diffuse su tutta l’isola, da Punta Sardegna a Capo Teulada, da Capo Falcone a Capo Carbonara e non è difficile vedere vigneti ben governati e produttivi. Certo è che le buone pratiche di sostenibilità che Eleonora d’Arborea fece applicare con la Carta e’ Logu non si sono più ripetute e questo fa si che, nei terreni tutt’intorno a quelle vigne, si possa scorgere una estesa mappatura di terreni incolti o, quando va bene, convertiti a pascolo.
Era il 1392 quando la Carta e’ Logu, forse con una imposizione anche dura dal punto di vista legale, ridava alla Sardegna quello che la coltivazione del grano (“granaio di Roma”) le aveva tolto, rilanciando l’economia e rendendo produttivi, con la bonifica, anche i terreni difficili. Dura perché recitava così: “Chiunque possieda terre incolte deve essere obbligato da un funzionario regio della contrada a impiantarvi o farvi impiantare una vigna entro un anno, altrimenti venda la terra o la dia a chi puo’ coltivarla” Erano considerati fuorilegge i vigneti mal coltivati e la punizione per colui che espiantasse una vigna di nascosto era una multa salata, il rimborso per il danno e qualora il furtivo non pagasse, l’amputazione della mano destra accompagnata da un periodo piu’ o meno lungo di galera!
Altri tempi? Altri “Sardi”? Direi di si, ma non troppo!
Restiamo però sul vino, di cui si è trovata traccia in molti siti nuragici e fenicio/punici, permettendoci di arrivare a riconoscere alcune qualità che potremmo definire “endemiche”. Anche se un tantino controversa, la storia del Cannonau, fra i rossi, credo sia molto meno recente di come la si racconti, un vino che è stato d’ispirazione per molti poeti e narratori che ne hanno esaltato la qualità ed il gusto unico, credo dopo pesanti sbornie (n.d.r.). Poi Il Nuragus (il nome stesso lo dice) fra i vini bianchi, tanto decantato dal Geografico greco Strabone (anno 60 avanti cristo, 24-26 D.C.)) ed a quella data si attribuisce anche l’apparizione della Vernaccia (Vernacola = del luogo). Pare che anche Amilcare, figlio di Annibale, si trasferì in Sardegna per coltivare personalmente la vite. Fra alti e bassi la produzione vitigno-vinicola sarda proseguiva, si intrecciavano commerci con la Toscana e Genova e si importavano nuovi vitigni che qua trovarono caratteristiche climatiche e di qualità dei terreni ottimali. Siamo nel 1596, quando tale Andrea Bacci scrisse un trattato, “De Naturali vinorum Historia”, defindendo, ve ne fosse bisogno, i vini sardi “di ottima qualità” e la nostra isola “Sardinia, insula vini”. Fra dominazioni e periodi di cui ancora troppo poco conosciamo, si arrivò così alla dominazione piemontese, durante la quale (fine 800) si tentò un nuovo rilancio della vite, ma arrivò purtroppo anche la Filossera. Ottantamila ettari di ottimi vigneti distrutti completamente da questa malattia. Nonostante questo però, la produzione del vino e la coltivazione dei vigneti ripresero a crescere, sino ad arrivare all’apice, negli anni 70, con una produzione vinicola di 2,5 milioni di ettolitri che solo altre politiche, che definirei “suicida”, imposte dalla Comunità Europea non stabilirono gli espianti (senza diritto di re-impianto) che ci fecero scendere da quei due milioni e mezzo di ettolitri a soli 800mila, quantità che non copriva nemmeno il 60% del fabbisogno regionale. Esportiamo oggi oltre sei milioni di bottiglie di eccellenti vini e diversi uvaggi, ma ne importiamo in grossa quantità per coprire quel fabbisogno e molto del vino sfuso viene venduto fuori perché adatto al taglio e correzione di vini che in altre zone d’Italia non raggiungono determinate proprietà e qualità. I nostri produttori hanno finalmente iniziato a puntare su un discorso qualitativo più che quantitativo e ci si augura che su questa strada si prosegua, consapevoli del fatto che, di terra incolta, oggi, ne abbiamo anche troppa e che abbiamo così tante varietà di vini di qualità che sarebbe bene diffondere e sviluppare, ve li elenco tutti:
Nuragus (bianco)
Cannonau (rosso)
Carignano “
Monica “
Mandrolisai “
Bovale “
Cagnulari ” (che viene definito una varietà di Bovale, il “Bove Duro”, ma non ve n’è certezza)
Girò “
Nasco (bianco)
Vermentino “
Vernaccia “
Malvasia “
Moscato “
Semidano “
Torbato “
Arborea (sia bianco che rosso a seconda se realizzato con uve di origine Sangiovese o Trebbiano)
Ma oltre a tutte queste qualità e alle loro varianti ottenute con sapienti tagli di altri uvaggi (Chardonnay – Tocai – Souvignon – Sangiovese per citarne alcuni) , tante delle quali hanno meritato la classificazione DOC e DOCG, restano da scoprire, di annata in annata, tutte le altre varietà e le vinificazioni che ogni anche piccolo viticoltore produce con molta passione e gelosia dei suoi “saperi”. Ed è utile che vi ricordi anche che il vino è un ottimo anti-ossidante naturale e possiede qualità enzimatiche che aiutano la assimilazione e digestione di molti alimenti (i rossi per le carni e formaggi, i bianchi per il pesce e non sono solo, queste, scelte “di gusto”). L’importante è berli con la dovuta coscenza, senza mai esagerare, perché pur sempre di alcolici stiamo parlando.
Di vino ne abbiamo quindi per tutti gusti, sarebbe anche ora di produrlo sino ad avercene abbastanza per tutti e di poterne esportare altrettanto, ché il vino era e resta il miglior biglietto da visita per qualsiasi comunità, il miglior elemento per creare compagnia e allegria, merci rare di questi tempi. Alla Salute!
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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