Se in un processo vincesse sempre l’accusa, sarebbe inutile celebrare il processo. Basterebbe la teoria di un magistrato per mandare condannato l’indagato. Fortunatamente il sistema giustizia prevede che le accuse debbano essere verificate e l’imputato sia innocente fino a sentenza di terzo grado contraria. Sono ovvietà. Ma certe reazioni spropositate all’assoluzione di Penati dimostrano come la delegittimazione della giustizia, pervicacemente perseguita da vent’anni di berlusconismo, sia abbondantemente penetrata anche a sinistra, investendo in pieno il Partito Democratico. Ho letto, appunto, di gente del Pd (non mi riferisco a Bersani, il cui commento è stato misurato e molto umano) che vorrebbe punire i pm e legare loro le mani, quasi quasi occhieggiando alla vecchia idea del suddetto Berlusconi di porre i pubblici ministeri sotto il controllo dell’esecutivo. Con tutto il rispetto, il rammarico e la comprensione dovuti ad un uomo che per quattro anni ha vista messa in discussione la propria dignità, i tribunali sono affollati ogni santo giorno di poveri diavoli costretti a trascinarsi per troppo tempo nelle aule di giustizia. Uomini e donne qualunque per i quali, non chiamandosi Penati, un Pd scopertosi improvvisamente garantista non mi pare abbia mai speso toni sdegnati. E questo dimostra anche con quale varietà di occasioni la Casta si manifesti. Torniamo a bomba. Invece di festeggiare l’assoluzione di un suo esponente e di evidenziare come la sbandierata fiducia nella giustizia abbia nei fatti trovato conferma, si crocifigge un pubblico ministero: non avrebbe dovuto proprio indagare. Ora, un magistrato può sbagliare e tutto il sistema della giustizia può incorrere in errori, perché fallibile è la condizione umana. Perché queste reazioni scomposte? Delle due l’una: o si ha motivo di ritenere che quel magistrato perseguiva altri fini (e qui l’assimilazione al disegno berlusconiano sarebbe totale) e lo si può dimostrare, oppure si deve accettare serenamente che un processo possa finire con un’assoluzione, come spesso e fortunatamente accade, smentendo il teorema di un pm. Il quale teorema, per essere arrivato sino al processo, qualche giudice disposto a sostenerlo deve averlo pur trovato. Basterebbe ricordare che un uomo è innocente fino al terzo grado di giudizio per salvaguardarne dignità e diritti anche durante il processo. E bene sarebbe ricordare che il dramma umano di un imputato vale anche se quell’uomo non è un politico amico. Un’ultima osservazione: nessuna riforma della Giustizia potrà mai garantire giudici infallibili e sentenze sempre pienamente coerenti con il reale andamento dei fatti. Ma ieri un uomo che i nuovi nemici della giustizia hanno sempre creduto innocente è stato assolto. Dovrebbero rallegrarsene.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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