Può darsi che io sia nata con la camicia: dell’idiota. Ci penso spesso quando ripercorro – qualche volta e senza ossessione – i miei passaggi tra i partiti della sinistra italiana. Avevo diciassette anni quando caddi tra le braccia del Partito di Unità Proletaria, ex Il Manifesto, cioè Pintor, Rossanda, Magri, Castellina, Menapace, Lucia Annunziata: gente fuggita dal P.C.I, gente colta, con l’utopia di creare un nuovo progetto. Ho conosciuto tutte queste persone, ed ero tanto piccola, ma volevo capire e imparare. Magri mi stava sul cazzo in maniera indicibile: l’ho comunque sempre ascoltato, non mi è passato accanto invano. Leggevo Il Manifesto e lo diffondevo nelle piazze, scuole, case. Spesso di certi articoli non ci capivo nulla, e neppure di Marx e Lenin, letti con ingordigia mentre potevo, chissà, ancora giocare? Leggevo Cuore, inserto satirico del quotidiano L’Unità. Sono cresciuta così, e anche leggendo tanta letteratura che non era Liala. Anche Linus, anche l’Intrepido e anche Diabolik. Sartre. Leggevo tutto, ma non parlavo mai, se non a fatica con i compagni come me: i manovali dei ciclostili, dei casa per casa, dei manifesti elettorali affissi la notte con colla fatta in casa. Parlavo con i compagni di Lotta Continua, di Avanguardia Operaia. Sussurravo nei primi collettivi femministi. Io a diciassette anni e poi diciotto e qualche annetto ancora, sognavo. Con sottofondo Neil Young, Cat Stevens, James Taylor e troppo altro, penso adesso. Questo mi preme dirlo a certi quarantenni della politica contemporanea, devo dirlo che sono nati anche da me. Io ho nutrito mostri che rinnego. La politica extraparlamentare fallì, lo sappiamo, schiacciata da gente che era democristiana nonostante la falce e martello all’occhiello. E tra occhiello e occhiolino il passo è un soffio. Naufragai in un periodo storico di disastri. Si costituì Democrazia Proletaria, per poco. Io, ormai quasi trentenne, non ricordo se non una separazione netta tra l’onesto e il saccente. Quanta arroganza indimenticabile! Non ci sarà mai scampo a questo. Conobbi anche le gesta delle Brigate Rosse. Vedendomi detrito solitario volli provare il P.C.I. tanto combattuto fino a quel momento: era in realtà già divenuto D.S. quando mi tesserai abbastanza imbronciata. Desideravo lavorare, e se non per l’Universo intero, almeno per la mia piccola cittadina di appena 30.000 anime. Mento, avevo l’utopia di cambiare tutto. Ero davvero giovane. Non vissi molto tra i D.S., me ne andai quando a un Congresso morì miseramente una proposta di Ingrao. Nel frattempo avevo offerto tutta me a un apparato nel quale, francamente, non ci impieghi molto tempo a comprendere d’essere solo un operaio sfruttato per i soli fini di alcuni. Era altra la Classe Operaia da difendere nei pubblici comizi. L’idiota che ero e che probabilmente resterà tale a vita, si sfiancava in campagne elettorali battendo la città intera, trovando consensi e insulti. I candidati anche facevano campagna elettorale, ma non mischiati a noi. No, la facevano segretamente l’uno contro l’altro, la stessa nelle forme, negli intrighi, ben combattuti pubblicamente, che faccia!, contro le prassi democristiane, ma dicendo di nascosto agli elettori, Ti prometto che. E le Feste dell’Unità. Avrei potuto non andarci, invece mi sderenavo nel pulire i siti, dietro un bancone di baretto o di lotteria, mentre altri giungevano ai dibattiti, docciati freschi, magari ad applaudire Giulio Angioni ospite. A stringergli la mano senza probabilmente aver mai letto un suo libro, e io, che lo conoscevo già a memoria, neppure potevo incrociargli gli occhi, vergognosa con uno straccetto in mano. Adesso l’ho capito bene, d’aver cullato squali, pensando ma non dicendo a voce alta, Prendete esempio da noi, perché noi soltanto reggiamo le mura della casa. Senza noi tutti sareste fantasmi arrogantelli da specchio delle mie brame. Ne vidi troppe di luridezze e andai via: il successo fatuo solo per se stessi non mi è mai interessato. Negli anni ho diversamente lavorato, per la mia città e un poco per tutti: mi concedo questa consolazione. I dirigenti di un Partito hanno valore solo dopo aver tenuto uno straccio in mano, e a lungo. La teoria senza la vita in strada è malattia di disastro. Il PD di adesso è anche un mio fallimento, perché non seppi sputare in faccia a suo tempo su chi non fu in grado di avvicinarmi con le parole, Dimmi dove sto sbagliando e se non arrivo a comprenderlo, tu hai il diritto di cacciarmi via. Qualcuno, probabilmente, non mi vide neppure la stanchezza perché lui fosse. E fosse sinceramente a nome di tutti. Certe volte un, Basta!, non necessita di lunghe discussioni. Soprattutto quando ormai si è capito tutto limpidamente. Anche negli amori importanti gli addii sono indispensabili. Mors tua vita mea. A meno che non si provi una particolare attrazione morbosa per gli straccetti dentro il proprio pugno chiuso. S.D.M.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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