Chi abbia un minimo di memoria storica, sa bene come la sinistra che ha originato l’odierno Pd abbia combattuto la sua ventennale battaglia contro la destra berlusconiana quasi esclusivamente sul fronte giudiziario.
Giustamente, doverosamente: opporsi alla corruzione diventata partito politico era una priorità irrinunciabile, in uno Stato civile che avesse rispetto della decenza. Oggi una parte del Pd, figlio di quella sinistra, si schiera contro le parole di Piercamillo Davigo, la mente più sottile del pool di Mani Pulite. Parole quasi scontate.
Ha dichiarato Davigo al Corriere della Sera che un politico corrotto provoca danni sociali ingenti. È vero, perché le scelte interessate di un amministratore ricadono sulle comunità e hanno effetti prolungati nel tempo. Hanno fatto credere, sofisticando le sue parole, che Davigo abbia fatto un fascio di tutta l’erba dei politici: è falso, ha parlato dei politici che rubano ma non ha detto che tutti rubano.
Abbiamo assistito persino ad una surreale lezione di Salvini sul pericolo di generalizzare: ha spiegato il capo leghista come sia ingiusto dire che tutti i politici rubino, proprio quel Salvini che sul terrore del negro, dell’islamico e del Rom – categorie senza distinzione tra i singoli – ha costruito una impensabile carriera politica. Io non credo che i magistrati siano infallibili. Di magistrati ce ne sono di buoni e di cattivi. Credo però che la corruzione, in politica, sia diffusa come ai tempi in cui Piercamillo Davigo era nel pool Mani Pulite. Corruzione non significa solo intascare mazzette, ma indirizzare gare d’appalto, sistemare gente inadeguata e spendere soldi pubblici per irrobustire la rete clientelare, trasformando lo spirito di servizio in propaganda e costruzione del potere personale.
Oggi il centrosinistra di Renzi reagisce alle parole di Davigo magari con toni più misurati, ma in fondo con lo stesso fastidio della destra berlusconiana per le indagini che coinvolgevano l’intangibile politica.
Mentre nel 1992 le inchieste ebbero il sostengo dell’opinione pubblica, oggi qualificati opinionisti ritengono che Davigo abbia sparato all’impazzata, descrivendo un’Italia molto peggiore di quella reale.
Oggi il Pd preferisce strumentalizzare le parole di Davigo, anziché coglierne l’allarme che, fino a qualche anno fa, rappresentava il punto principale della sua agenda politica. In un’intervista rilasciata a L’Espresso per i suoi novant’anni, Giorgio Bocca disse che l’Italia fascista aveva una caratura morale superiore rispetto a quella odierna: un ladro ed un corrotto suscitavano riprovazione e sdegno, non ammirazione come oggi. Prostituirsi per denaro e potere, ai nostri giorni, non fa più tanto scandalo. Credo sia il risultato di una società che si allontana sempre più dai valori della Costituzione e sempre meno quei valori di responsabilità civile riconosce.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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