L’assassinio di Daphne Galizia conferma che non si può vivere serenamente la professione del giornalismo, se si compie il proprio dovere fino in fondo. In un modo o nell’altro, il rischio significa il sacrificio della vita: non sempre con la morte, ma con la rinuncia ad un’esistenza normale. Si può scegliere di andare fino in fondo, si può scegliere una vita normale. Entrambe le strade hanno le loro ragioni e la loro dignità, però non ci sono mezze misure né ci possono essere. I rischi si corrono non solo quando si indaga sulle tentacolari diramazioni delle mafie internazionali, ma anche se si volesse ficcare il naso in certi ambigui traffici del cortile di casa. Basterebbe passare un po’ di ore a leggere gli albi pretori dei Comuni per scoprire tante storie di clientelismo o forme legali di corruzione: unisci i puntini e capisci dove finiscono i soldi e perché finiscono lì, per piccoli favori pregressi o perché il sindaco o assessore di turno vuole garantirsi amicizie che sostengano le sue prossime ambizioni politiche. Sempre meno il giornalismo si occupa di questo malcostume, della spicciola gestione del potere costruita su ambigue relazioni o sull’uso disinvolto del denaro pubblico. Perché? Perché i giornali sono sempre più deboli finanziariamente e non possono dare troppo fastidio, perché quelli davvero indipendenti sono sempre più rari, perché non tutti i giornalisti hanno voglia di finire emarginati, perché non vale la pena di rischiare le rogne di una querela se non si gode di una protezione sufficiente. Perché, se tocchi il potere, troverai tanta gente che ti volta le spalle, che ti appiccica addosso la fama di represso, che ti accusa di essere prevenuto verso il potere, anche se hai argomenti e prove inoppugnabili. Se decidi di fottertene di tutte queste controindicazioni e di tutti questi effetti collaterali, paghi con la vita, in un modo o nell’altro. Il cadavere di Daphne Galizia ce lo ha appena ricordato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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