Danut indossava solo i pantaloni del pigiama, il giorno in cui decisero di farlo fuori. La morte aveva bussato alla sua porta nella notte tra sabato 20 e domenica 21 aprile del 2007, l’anno in cui l’Europa aprì le porte alla Romania.
In Italia era appena arrivato, lasciando in un paese dalle parti di Galati sua moglie, Nela e i loro due bambini di tre e cinque anni. Un cugino gli aveva proposto di raggiungerlo a Padru, dove il titolare di un’azienda agrituristica cercava uno stalliere, qualcuno che ci sapesse fare con i cavalli. Danut aveva subito dimostrato di essere all’altezza del compito. Lavorava sodo, lavorava bene. Talmente bene che il padrone del “Cavallino” gli aveva offerto subito il posto; 600 euro al mese più vitto e alloggio. E’ possibile che Danut, tornato nella sua stanza, abbia guardato la foto dei bambini che teneva sul comodino e pensato che un giorno li avrebbe portati qui, li avrebbe visti giocare e crescere, avrebbe garantito loro un futuro.
Forse Danut si era accorto di non essere gradito da alcuni personaggi del posto che frequentavano l’azienda. Aveva percepito l’ostilità. L’ultima volta che ci parlò al telefono, Nela ne percepì il turbamento. Non era tranquillo, Danut ma probabilmente non capiva il motivo e non riteneva opportuno prendere particolari precauzioni. In fondo, si limitava a lavorare, non aveva contatti, non conosceva ancora nessuno e nemmeno sapeva parlare italiano. Sentiva di essere in pericolo ma non sapeva perché.
La colpa di Danut era la sua virtù. Lavorava sodo, lavorava bene. E lo faceva in cambio di un compenso non proprio lauto. Il forestiero era un pericolo per chi raggranellava qualcosa dalla stessa azienda, forse lavorando meno, forse anche meno bene.
Fu così che Danut espiò il suo peccato. Quel sabato notte un gruppo di persone fece irruzione nella sua camera, al Cavallino. Gli legarono i polsi e lo caricano in macchina così com’era, con indosso solo i pantaloni del pigiama. Lo portarono da qualche parte, lo seviziarono e, infine, lo giustiziarono con due fucilate: una alla schiena, una alla testa.
Il cadavere dell’uomo in pigiama fu trovato la mattina di lunedì 22 aprile da un allevatore, in campagna, a pochi chilometri dal Cavallino. Era stato abbandonato accanto a un sacco della spazzatura.
Le indagini si risolsero nel giro di un mese, con l’arresto di quattro persone, tre delle quali portano lo stesso cognome. Tutti sono stati condannati a pene che variano dall’ergastolo a diciotto anni.
La pena minore è stata inflitta a Renzo Becconi, genero del titolare dell’azienda in cui Danut ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita. Stando agli atti del processo, non avrebbe preso parte all’omicidio. Dal giorno in cui ha messo piede in galera ha deciso di utilizzare il tempo e costruirsi un avvenire migliore. Ha conseguito il diploma di geometra e si è iscritto all’università. Dalla prigione, un giorno del 2025 o forse prima, potrebbe uscire l’ingegner Becconi.
E sarà lui a dare un senso al sogno di riscatto che è il sale, in fondo, di questa maledetta storia.
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