A Venezia, dopo i branzini, gli sparaglioni e persino le meduse visti aggirarsi nei canali sui quali si riflette la meraviglia di quei palazzi, davanti a piazzale Roma è stato fotografato un polpo. L’avvistamento ha stupito i biologi marini, tanto da fare pensare a uno scherzo combinato con l’utilizzo di merce viva del vicino mercato. Ma comunque ha riempito, dicono i giornali, il cuore dei veneti e dell’umanità tutta sulle capacità di ripresa della natura e quindi “questo corona virus deve farci riflettere su bla bla bla”. Io rifletto solo una cosa. Che i polpi, nel mio mare, per fortuna non sono ancora un avvistamento eccezionale. Se mi faccio una nuotata con gli occhialini – che sia il Golfo dell’Asinara, la costa orientale o quella occidentale (il Sud lo frequento di meno) – non è strano vederne qualcuno. Alle volte tanti. Noi sardi in linea di massima ci limitiamo a guardarli, magari qualche volta fingendo di inseguirli per divertici a vederli allontanarsi con una spinta sparando lo spruzzo di inchiostro. Ricordo invece cosa vidi cinque o sei anni fa su una spiaggetta ai limiti meridionali della Gallura, quasi ombreggiata dalla mole possente di Tavolara che emergeva a un tiro di gommone. C’era una famigliola composta da genitori e numerosi figli e cugini dai cinque ai quindici anni. Non so se fossero veneziani, ma l’accento era veneto. A un tratto un bambino urlò-Un polpo, un polpo!-Non lasciarlo scappare – fece immediatamente eco il papà.La mamma e le bambine si ritirarono tra paura e ribrezzo prima della battigia seguendo con ammirazione le gesta dei maschi cacciatori. Alla fine lo presero, il polpo. E il capo famiglia spiegò a tutti-Ora vi mostro cosa bisogna fare.E cominciò a sbattere la preda sulla roccia. La preda ancora viva, naturalmenteUn signore accanto a me, che non era sardo ma neppure coglione, mi disse-Stanno facendo così dall’inizio delle vacanze. Non c’è essere vivente che vedano senza ammazzarlo. Sembra la loro missione.Purtroppo è così. La maggior di quelli che ora si commuovono per i delfini che danzano in vista delle rive, torneranno a dire che bisogna ammazzarli tutti perché rovinano le reti dei pescatori. Se qualcuno dirà che la pesca soddisfa poco più dell’1 per cento del fabbisogno di calorie dell’umanità e che per quello stiamo distruggendo il mare, gli diranno di non rompere i coglioni e che non dobbiamo rinunciare a un riccio, a un’aragosta o a un filetto di sogliola per le cazzate degli ambientalisti.Dobbiamo riflettere? Le meditazioni sono innocue se non hanno ciccia, se non portano a conseguenze che implicano anche rinunce a modi di pensare e di agire che tutti sappiamo dannosi ma che ci piacciono tanto.E quindi ora non voglio dire di impedire la pesca in tutto il mondo, non sono pazzo, ma anziché commosse fotografie di polpi, vorrei che qualcuno con una bella voce dicesse chela ripresa non è solo nel cemento che consuma il territorio e la cultura, ma in una complessa eppure possibile sinergia tra le piccole e grandi di economie dei territori. Vorrei che dicesse che bisogna entrare in una nuova dimensione di riduzione e differenziazione dei consumi, che per un boccone di cibo del quale potremmo fare a meno stiamo irrimediabilmente uccidendo il mare. Che il cibo proveniente dalla terra può e deve essere prodotto senza distruggere la terra. Che la caccia e la pesca “sportiva” e “ricreativa”, pur non incidendo in maniera massiccia in questo disastro, assumono un barbaro valore simbolico: la volontà dell’uomo di uccidere e distruggere senza neppure una necessità cogente per la propria sopravvivenza. Vorrei una politica che valutasse questo immediato sussulto di speranza che la natura ha avuto quando noi siamo rimasti chiusi in casa, non come argomento per piccoli e pallosi San Francesco che ogni tanto sbucano fuori ad accarezzare i lupi, facendosene mordere, naturalmente, ma come un programma politico, una Resistenza contro i nuovi prepotenti che hanno come obiettivo quello di sfruttare tutto ciò che è possibile sfruttare fregandosene dei figli e dei nipoti. I nostri e i loro.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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