(Sardegnablogger pubblica di seguito una puntata dello splendido diario di viaggio scritto da Tonino Cau, fondatore e direttore del coro di Neoneli. È il racconto dell’impressionante impatto con la megalopoli di Chongqing, durante il recente tour in Oriente del Coro. Buona lettura)
Prima di tutto comincio con una autocritica non di maniera: non avevo mai sentito nominare la città di Chongqing. Lo ammetto e faccio ammenda, io che per la geografia ho sempre avuto un debole e una grande passione. Quando stiamo per partire qualcuno mi dice che la città conta più di trenta milioni di persone. Mi chiedo: “Come mai non ne abbiamo mai sentito parlare, possibile che una simile realtà sia ignota ai più, nel cosiddetto “occidente”? È così. Provenienti da Hong Kong, l’aeroporto di Chongqing non da l’impressione di essere quello di una città forse fra le più grandi al mondo. Ci vengono a prendere e c’incamminiamo verso la città, ad uno sputo. L’impressione “a pelle”, è che stiamo entrando in una nazione diversa da Hong Kong. Ci colpisce favorevolmente il decoro e la pulizia delle strade, delle aiole, degli spazi verdi: tutto ben curato, neppure un coriandolo per le strade. Buste di plastica e rifiuti vari, molto popolari nelle nostre cunette, manco l’ombra. Ci diciamo, non senza essere sopresi: “il primo impatto è super”. Ma, detto della sobrietà e della pulizia degli spazi, vi è un altri tipo di impatto che traumatizza: i palazzi, i grattacieli. Mai visto in vita mia ( eppure città e metropoli ne abbiamo visitato in quattro continenti, megalopoli comprese) un tessuto urbano simile. Appena usciti dall’aeroporto si entra letteralmente in città. Questo vuol dire che cominciano i grattacieli. Neppure un palazzo che non abbia almeno trenta quaranta piani. Un numero impressionante di palazzoni, tutti molto simili e spaventosamente vicini, fa pensare ad una città mostro. Il grande ponte della confluenza del fiume Jialing e del tratto superiore del fiume Yangtze, ci fa entrare nel vivo della città. Il panorama diventa monotono, una selva vera e propria di grattacieli dove vivono milioni di cinesi, ci diranno che ormai le quattro municipalità attaccate, a Chonqing hanno superato i 35 milioni, a destra e sinistra, per una densità di oltre 350 abitanti per km quadrato. In sostanza, in una sola area urbana ci stanno la metà degli italiani. Pazzesco. E si vede. Un amico sardo che in quei giorni sta proprio a Chongqing per affari, venendo a trovarci per assistere al nostro concerto, dice di aver percorso non meno di 50 chilometri per arrivare al centro, dove siamo noi. Ma la città inizia molto prima…Oltre due ore e mezzo di tempo. Mamma mia. Dal nostro hotel si domina la piazza centrale della città. Sembra una piazza di Berlino o Parigi o Milano o Madrid o New York: palazzi di vetro e acciaio lucidi a specchio, le boutiques e le griffes più note al mondo gareggiano a mostrare le vetrine più sontuose, da Armani e Prada, da Versace a Valentino a Cartier a Rolex, a Miu Miu a Chanel… Se ti sposti di trecento metri assisti ad un qualcosa di sconvolgente: torni indietro nel tempo, quasi nel medioevo. Resiste un mercatino dei poveri. In un dedalo di viuzze maleodoranti, sporche, trovi di tutto. Ci sono i venditori di carne (disposta su cesti di canne o vimini, o dentro secchi di plastica, o su tappeti stesi per terra) che tutti possono toccare prima di acquistare, accanto a lustrascarpe, venditori di ferraglie, di fiori, di interiora, persino di sangue animale, di teste di pesce e di coniglio, di galline, oche e galli vivi (che in stamberghe luride macellano davanti ai tuoi occhi, con una igiene degna delle migliori cloache), e portantini sfiancati che con la loro canna di bambù sulle spalle trasportano di tutto. Il tutto fa impressione. Dicono che fra pochi mesi il mercatino sarà un ricordo: incombono le ruspe e le gru. Il consolato italiano organizza “Autunno Italiano”, e coglie l’occasione del nostro viaggio e, d’accordo con Pechino, ci invita a Chongqing. Il Console Sergio Maffettone è entusiasta dello spettacolo, e predice che noi torneremo da quelle parti. Anzi, ci dice che ci vorrebbero ancora il 28 dicembre, dopo pochi giorni. Esprimiamo il diniego ovviamente, per il futuro si vedrà. Lo spettacolo si tiene nell’androne molto vasto del più alto grattacielo della città, dove per altro ha sede al 47mo piano il Consolato Italiano. Nell’androne montano il palco, sul quale troneggia uno schermo elettronico di otto metri per sei in cui vanno immagini della Sardegna prima della nostra performance, per poi lasciare lo sfondo fisso con la riproduzione del depliant dell’avvenimento. Stupendo. In prima fila il nostro Console, quello vietnamita, il propietario del palazzo e altre varie autorità Ogni posto a sedere occupato, e tanti in piedi. Molto gratificante, non l’avrei mai detto. Andiamo via contenti.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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