Certo bisogna avere coraggio e una ginnastica d’obbedienza fino a scegliere con determinazione uno dei testi meno sanremesi di sempre. Quel coraggio ce l’hanno Giovanni Truppi (in gara al Festival con un’interessante canzone di genere cantautorale “Tuo padre, mia madre, Lucia“) e Vinicio Capossela, che stasera sul palco dell’Ariston omaggeranno nientemeno che Fabrizio De André e uno dei suoi capolavori “Nella mia ora di libertà”. Sono curioso e spaventato. Le cover sono operazioni scivolose, si rischia la brutta figura perché tutti gli estimatori dell’originale sono pronti a sparare all’artista di turno reo di aver rovinato la canzone del cuore. Ecco, questo testo (che fa parte dell’ immenso album concept “Storia di un impiegato“) è uno dei miei preferiti della discografia deandreiana. Sono però felice che questa canzone passi da quelle parti. Lo dico con la serietà che si conviene quando si parla di queste imprese complesse. Però, provate ad immaginare le facce di quelli che ascolteranno la provocazione iniziale: “Se c’è qualcosa da spartire tra un prigioniero e il suo piantone che non sia l’aria di quel cortile voglio soltanto che sia prigione” oppure la parte finale in cui De André in forma splendida e lucida ci dice che: “bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza, però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni” per chiudere, infine, con una sorta di invettiva nei confronti di tutti i benpensanti: “Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.” Ecco, non so come interpreteranno Truppi e Capossela questa canzone ma sono felice che la cantino proprio su quel palco, proprio a Sanremo, proprio in un luogo futile e apparentemente pieno di lustrini e falsa allegria. Prendetela come una sorta di scherzo postumo del Faber amico fragile: davanti al suo mare, nella sua terra era necessario, anche dopo tanti anni, riparlare di libertà, di ingiustizia, di ultimi, scoprire che il vero delitto è non rubare quando si ha fame e che, dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fior. Anche quelli di Sanremo.
Buon festival a tutti!
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design