E’ stato l’unico viaggio in vita mia di cui non ho immagini. Molto banalmente, mi sono scordato a casa la macchina fotografica. Era il 2001. Però mi ricordo molto e molte immagini continuano a popolare quella stanza che si chiama memoria.
Mi ricordo la sberla che ricevi in pieno viso come esci dall’aereo e il clima tropicale ti da il suo personalissimo “welcome”. Si diventa all’istante fontana infinita di sudore e la camicia diventa aderente seconda pelle. Si diventa asmatici e sembra un’altra vita, quella in cui il fresco alito dell’aria condizionata ti avvolge in un piacere che chiami modernità. Si diventa spugna di profumi che galleggiano prima attorno a te e poi dentro di te. Perché i pori della pelle, a quel punto, non sono solo porte di uscita ma anche e soprattutto di ingresso.
Mi ricordo il tempo infinito che diventa finito: quello della sopportazione, dentro un bus di transito dall’aereo all’aerostazione che, senza qualcun apparente motivo, si ferma in mezzo alla pista, alle 3 del mattino, dopo 8 ore di volo, con 38 gradi. Dopo che il tempo infinito diventa finito, le persone perdono molto di ciò Norbert Elias chiama “buone maniere” della moderna civiltà: cominciano prima ad alzare la voce, poi a gridare, poi a smontare il bus a calci e pugni. Alla fine, l’autista riparte e il tempo – che era finito – riprende la sua corsa verso un’altra corsa, quello della fila al controllo passaporti.
Mi ricordo l’Havana. E di Havana mi ricordo di aver immaginato il lunghissimo Malecón settanta anni prima, con quei colori ora scolorati, pieni di vivida vita pastello. Doveva essere un paradiso, l’Havana. Un paradiso di colori e musica. Nelle mie passeggiate sembrava un disco graffiato, un 33 giri fantastico che – all’improvviso – tradisce l’armonia dello spirito quando la puntina salta il solco trasversale, e le note ti vanno di traverso, come un bicchiere di vino bevuto male. Tossisci, quando il vino va giù male. Tossiva l’anima, quando la puntina saltava sul 33 giri. Tossiva l’anima e si aggrumava la rabbia, passeggiando sul Malecón, immaginandone lo splendore e subendo il disastro della decadenza. Anche se è patrimonio dell’Unesco.
Mi ricordo che le macchine, molte macchine ti illudono che non sei nel 2000, ma molto indietro nel tempo. E molte macchine hanno colori, forme e suadente estetica che mai rivedrai in altre parti del globo. E nonostante l’età dei mezzi nonostante i guasti, nonostante tutti i cubani siano costretti a diventare un popolo di meccanici, gioco forza., nonostante tutto ciò.. la vorresti portare in Europa una di quelle macchine.
Mi ricordo Santa Clara. A Santa Clara c’è il concentrato del Mito e a Santa Clara chiunque conosca la storia della rivoluzione cubana si toglie il capello, entrando nel Museo. Se non ha il capello, uno pregno di storia rivoluzionaria, immagina di averlo il capello, e se lo toglie lo stesso, pur non avendolo. Perché a Santa Clara ci fu il genio e quel treno zuppo di militari di Batista ingannato dal genio dei barbudos fu la svolta finale, prima dell’ingresso trionfale di Camilo Cienfiuegos a l’Havana.
Mi ricordo la gita a cavallo con viaggiatori solitari, come me. Uno spagnolo, un francese e un italiano. Sembravamo una barzelletta. E forse lo eravamo davvero. A cavallo, in mezzo alla foresta il profumo delle piante, della terra, della Storia non è elemento ornamentale. Diventa altro, molto altro. Talmente altro e altro invasivo che diventa quasi un pezzo di te e tu hai la speranza di lasciare un pezzo di te, in quella terra. Poi, a distanza, capisci che erano solo fesserie romantiche di comunisti in cerca di brividi. Ma tant’è.. a volte, come dice Weber, esiste l’autoinganno. Ed è bello cascarci.
Mi ricordo Varadero. C’è una lunga, lunghissima spiaggia a Varadero. E sulla spiaggia si affacciano le fila di alberghi francesi e italiani. Dopo la spiaggia c’è il mare stretto dalla barriera corallina. Dentro il mare, con l’acqua all’altezza dell’ombelico, si stringono in cerchio giovani, meno giovani e anziani cubani, tedeschi, italiani e francesi. Tutti col bicchiere di rum o di birra ghiacciata. Bevono e palano. Parlano e bevono: sono una barzelletta E l’acqua della laguna corallina non scende mai sotto i 35 gradi. Un inferno.
Poi c’è altro dietro la fila degli alberghi. C’è uno stagno e attorno allo stagno ci sono baracche di cubani poveri e poveri cubani stretti attorno alla loro miseria. Sono molto ospitali e hanno (almeno, avevano..) un forte desiderio di comunicare. Ora non so se hanno ancora voglia di comunicare.
Poi, oltre lo stagno e il rosario di miseria che circonda lo stagno ci sono i pozzi di petrolio. A Varadero non c’è solo l’industria del turismo. C’è il petrolio. E quindi, insieme, fusi in un quadro che solo Bosch avrebbe potuto immaginare, c’è il corallo con la sua barriera, l’acqua limpida ma calda della barriera, i turisti sbevazzanti dentro l’acqua, la fila di ricchezza esposta negli hotel, la fila di miseria che tracima dalle lamiere contorte dei cubani contorti dalla miseria e il petrolio. Avete mai visto i pozzi di petrolio? Spesso ruttano fiamma, come nei quadri di Bosch.
Mi ricordo Trinidad, che è la città più bella del mondo. Perché a volte l’estetica importata del colonialismo confonde anche i più avveduti. E Trinidad è talmente bella, ordinata, pulita, satura di musica, che l’orrore del colonialismo spagnolo scompare come nelle magie. E ti devi sforzare per cacciare la seduzione dei colori di quella città per ricordarti il prezzo che gli indigeni hanno pagato affinché pochi, fortunati e pochi, godessero di quell’Eden.
Mi ricordo la visita all’Università dell’Havana. I racconti dei miei colleghi e la miseria diversamente declinata. Quelli isomorfici al regime castrista parlavano esattamente come Castro. Avete mai sentito quel genio della retorica che è Castro? Non Raul, l’altro, il più grande.. Accento, pause, graffio rauco ed esplosione di sillabe. Ecco, la miseria dell’isomorfismo era presente ai sensi, a tutti i sensi di chi ascoltava. E l’unico angolo in cui un avveduto può sedersi ascoltando quella miseria isomorfica dettata dalla viltà o dal desiderio di carriera è solo la pietas e l’umana comprensione.
Poi c’è la miseria che viene dalla miseria materiale, non quella dello spirito. E mi ricordo che quei colleghi si industriavano in mille modi per sedimentare nelle loro tasche qualche pesos in più rispetto alla paga statale: tassisti, gestori di bed & breakfast e, soprattutto, geniali compositori di cd-rom contenenti tutta la storia, immagini e musiche del Che. Ne ho comprato 10 di quei cd-rom e molti amici ancora mi ringraziano.
Infine c’è la Storia delle relazioni con il Mondo intero. Una relazione che oggi cambia verso (quella sì..). Una relazione che condensa la sua essenza nella parola “punizione”. Perché il popolo cubano è stato punito e ha pagato per oltre 50 anni la colpa di aver osato a prender in mano la propria vita, il proprio destino, la direzione della propria vita. Ci ha tentato, di sicuro, Poi le cose sono andate diversamente dalle premesse rivoluzionarie. Ma ci ha tentato. E il conto è stato salato, salatissimo.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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