In questi giorni assurdi sembra che il tempo si sia dilatato e scorra molto lentamente, così una buona parte la trascorro sul web a leggere articoli, post, commenti. Ho letto tutto e il contrario di tutto, dalle notizie attendibili a quelle proprio fasulle e millantatorie e anche tanti, troppi commenti brutali, offensivi, pieni di cattiveria e odio nei confronti un po’ di tutti: dei politici, del governo, dei lombardi scappati al sud, dei padroni dei cani, dei runners, dei cantanti sui balconi e, dulcis in fundo, dei crucchi. Siccome ho tempo, mi è venuta voglia di scrivere, cosa che non facevo dai tempi de “Il Quotidiano di Sassari” e uffici stampa vari. Una vita fa. E a proposito di crucchi, appena arrivata in Germania, dieci anni fa, un pomeriggio incontrai il mio padrone di casa sulle scale del nostro palazzo e, a un certo punto, timidamente mi si rivolse in sardo. Sapevo che parlava italiano correttamente, ma il sardo logudorese, e chi se l’aspettava! Gli domandai dove lo avesse imparato, così mi raccontò che era stato in giro per la Sardegna negli anni ‘70 per una ricerca universitaria e, attraverso il Wagner, il primo dizionario sardo/tedesco, aveva appreso i rudimenti della lingua. Mi parlò della mia terra e dei suoi abitanti con un entusiasmo che, forse, nemmeno un italiano della penisola riuscirebbe ad esternare. Da quella volta, ogni settimana, cominciò a lasciarmi un libro sulla cassapanca del pianerottolo, insieme a un bigliettino che ne spiegava la scelta. In seguito, la mia esperienza di vita vissuta in questa terra, tra questo popolo così mal visto in buona parte del mondo, è stata un crescendo di piacevoli scoperte. Invece, nel ’98, la padrona di casa di Roma mi chiamava sardignola, ma continuerò ad amare tutti gli amici di Roma e il tempo bellissimo trascorso insieme, perché i romani non sono la signora “tal dei tali”. I tedeschi, il cui senso di colpa si percepisce ancora anche in molte regole e scelte della società moderna (l’apologia del nazismo, per esempio, è severamente punita, a differenza dell’apologia del fascismo in Italia e qui stendo un velo pietoso…), amano profondamente l’Italia, la sua cultura, la lingua, il cibo, la moda, le auto e investono tanti soldi in queste cose (questo ci piace, ma dimentichiamo di dirlo). È un popolo solidale, lo abbiamo visto anche con i migranti e la grande macchina d’accoglienza che si è messa in moto, dallo stato ai privati cittadini. Perfino i pensionati si sono messi volontariamente a disposizione per dare assistenza pratica e burocratica, addirittura insegnando la lingua tedesca a persone che a malapena parlavano la loro. La Germania dà lavoro a moltissimi italiani che in passato, ma anche oggi, non hanno trovato una collocazione professionale nel nostro paese e sono tantissime le famiglie miste perfettamente integrate. In questo periodo buio, gli ospedali tedeschi che ancora hanno posti in terapia intensiva, stanno accogliendo malati dall’Italia e dalla Francia, perché non si dice? E intanto il numero dei positivi e dei morti cresce anche qua. Io provengo da una famiglia di gente di mare da quattro generazioni e nel nostro cantiere nautico di Olbia, negli anni 60’ e ’70, prima dell’avvento della grossa nautica da diporto, approdavano navigatori tedeschi, francesi, inglesi, olandesi. Skippers, avventurieri di passaggio o diportisti esperti con cui la mia famiglia, visto che non c’erano alberghi come oggi, mentre gli si facevano i lavori alle barche, condivideva un piatto di pasta, un materasso per terra nel nostro appartamento e qualche chiacchiera in una lingua piuttosto maccheronica, ci si capiva insomma. Ero molto curiosa di quelle persone che venivano da lontano, parlavano altre lingue e avevano abitudini diverse, ma erano molto simili nella necessità di varcare i confini attraverso i viaggi in mare. In un certo senso il mare li rendeva tutti uguali e per me, ancora bambina, rappresentavano la possibilità di conoscere un mondo esterno. Poi ho avuto la fortuna di viaggiare tanto, per piacere ma anche per lavoro, prima nelle nostre regioni italiane e poi all’estero. Quando si cominciano a conoscere i luoghi e le persone, il nostro immaginario cambia; i clichés sui milanesi, sui romani, sui napoletani, sui francesi e sui tedeschi vengono rimpiazzati dall’esperienza diretta e man mano cresce l’affetto per chi ci ha accolto e per ciò che di bello abbiamo vissuto o semplicemente ci si fa un’opinione sul campo. In un’epoca in cui tutti viaggiamo e abbiamo accesso ai mezzi di informazione e alla cultura, non possiamo più parlare per luoghi comuni classificando “gli altri” anche con parole offensive. Se guardiamo alla storia, tutti abbiamo scheletri negli armadi che è meglio rimangano ben chiusi e sigillati. Si anche noi italiani. In questo momento siamo tutti uguali nella tempesta della pandemia. Ogni paese europeo sta cercando di capire come deve gestire l’emergenza al suo interno, non è facile per nessuno, nemmeno qui in Germania, ve lo assicuro. L’economia sarà un bagno di sangue e il governo è impegnato nella ricerca di soluzioni. Tutti noi siamo spaventati dal dopo. I problemi dell’Italia, forse molti di voi me ne daranno atto, non li hanno causati Frau Merkel e i suoi crucchi, sappiamo benissimo che finché non cambierà una certa mentalità il nostro bellissimo paese continuerà ad arrancare. E sull’argomento mi fermo qui, perché altrimenti facciamo notte. Io continuo a credere in un’Europa unita, senza frontiere, senza pregiudizi, e mi auguro che si trovi una soluzione per tutti. Non sono trattative facili e chi non è esperto di finanza ed economia, come me del resto, non ha idea della complessità delle manovre che si dovranno attuare. Non si può pensare di compiere un passo indietro e di vanificare tutti gli sforzi sostenuti per arrivare fin qua. C’è ancora molto da fare, è vero, ci sono punti interrogativi che aspettano risposte e ci auguriamo che arrivino al più presto. Nel frattempo, vi prego, smettiamola di essere volgari, di offenderci e di fare becero tifo da stadio, siamo tutti sulla stessa barca e ognuno, nel suo piccolo, dovrebbe fare in modo di non farla affondare per proseguire il viaggio. Un abbraccio virtuale a tutti, forza e coraggio!
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
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