Appunti dai diari di bordo della nave “Oceania”, incaricata da S.M.A. delle ricognizioni attorno alle isole di Navigandia, di recente annesse ai possedimenti dello Stato.
I primi giorni da quando abbiamo lasciato il porto di Solea, sono stati tranquilli. La navigazione non ha registrato momenti di rischio. Un’alta pressione costante ha accompagnato ogni miglio aperto dalla nostra prua.
Ma non sarà sempre così.
Abbiamo raggiunto le isole di Navigandia dopo settantadue ore.
Una volta raggiunto il mare di dentro, abbiamo navigato senza mai perdere di vista la terra. Anche durante la notte, quando non abbiamo dovuto fermarci in qualche golfo per timore che il vento aumentasse e abbiamo potuto continuare a navigare, i profili lontani dei graniti ci sono sempre stati visibili.
Le isole che ho visto per esservi sbarcato sono particolari. Una sola come sappiamo, la più piccola, risulta abitata in modo stabile. Altre che abbiamo toccato non hanno case, o ne hanno una, due, tre al massimo.
Solo una di queste altre è abitata. Dicono ci viva un guardiano. I pochi indigeni che ho potuto intervistare non sono espliciti, ma sono certo che intendano quest’uomo come il guardiano di tutte le isole. Infatti, secondo una locale superstizione, le isole più lontane sono forme di un solo archetipo e questo guardiano, su cui circolano per altro certune voci, sarebbe il guardiano dell’isola prima, dell’isola che precede ogni altra. Si tratta chiaramente di una superstizione che peraltro sembra destinata a scomparire. Ma al momento il sentire comune è questo.
Si nota anche un’altra cosa. Quantunque le isole siano praticamente disabitate, esse sono frequentate di giorno e di notte da barche e navigli diversi. Persone di ogni tipo vi si danno convegno all’inizio dell’estate e intrattengono dei commerci che durano fino alle prime piogge dell’autunno. E le stesse persone si ritrovano quasi ogni anno ricordandosi delle estati precedenti, di quelle prossime e di quelle più remote, e insomma, queste isole sono un mondo. Ciò che ho notato è che gli abitanti dell’isola popolata stabilmente non lo vedono. Non tutti, si intende, essendo alcuni di essi proprio tra gli abitanti di quel mondo parallelo. Ma la maggior parte dei residenti non sa che quel mondo sulle isole esiste. Verrebbe da pensare all’inizio che non lo considerino importante, ma da qualche scambio ho capito che non sono al corrente della sua esistenza.
Perché?
Ho provato a scandagliare meglio questo interrogativo, ma a tutt’oggi esso è senza risposte.
Sulle isole non esistono approdi, o ne esistono di vecchi e abbandonati. Questo indica che un tempo esse furono più frequentate di ora e in modo stabile, dagli abitanti dell’isola piccola. Solo tre di questi vecchi moli sono stati da poco acconciati per consentirne l’impiego ai navigli. Ebbene, ovunque ciò sia successo, quel mondo parallelo di cui dicevo, vi si dà convegno. È come se una periferia di umanità cercasse nuove vie e nuove piazze per stabilirvisi. Non cercano nuovi servizi, non nuove comodità. Ma nuove vie per muoversi e nuove piazze per sostare e fare scambi.
Che si tratti in realtà di antiche vie per molti decenni dimenticate, e tornate a vivere, fa venire in mente il comportamento di taluni semi del deserto, capaci di restare secchi e dormienti per secoli sotto la sabbia, ma in grado di esplodere di nuova vita all’improvviso, non appena un temporale porti su quella sabbia acqua sufficiente. O quello di talaltri semi minuscoli, che ogni anno a milioni tracciano percorsi invisibili su terreni per lo più inospitali, incontrando prima o poi le crepe dove acqua e terra si sono depositate a sufficienza. Molti di questi semi muoiono, altri continuano a vagare finché possono.
La vita non dimentica le vie che ha percorso, verrebbe da dire, né dimentica che per essere tale ha bisogno di continuare a cercarne di nuove. In questo, Navigandia sembra uguale ad ogni altro luogo che ho visitato finora.
Solo gli individui dimenticano, rinunciando a cercare ancora e fermandosi dove la vita stessa è più sicura.
Eppure, vi sono semi che sfuggono a tale costume, e continuano a vagare per lo spazio, o ad attendere il passare del tempo, garantendo a questa vita, a questa umanità delle isole, la possibilità di esistere ancora.
La vita di quel mondo delle isole sembra appartenere a entrambe queste forme.
(continua)
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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