Quando penso all’Armando il mio ricordo va alla scena indimenticabile di Totò e Peppino a Milano, con i colbacchi e le domande inverosimili al buon vigile in Piazza Duomo. Non ha senso, lo so, però a me il Cossutta ricorda quel fotogramma. La bellezza delle piccole cose e la gioia di poter dire: “si rideva con poco”. Ho sempre accostato Armando Cossutta all’intransigenza, alla purezza assoluta, alla passione e alla militanza. Quella comunista. Quella vera. Che non c’è più perché appartiene al secolo scorso. Lui era la speranza e la voglia di rivoluzione. Era il trionfo della giustizia proletaria, era l’essere compagno, fermo, risoluto. Grigio. Ecco, quando penso a Cossutta – chissà perché, – girano tutte immagini in bianco e nero. Lo sciopero, i cartelloni scritti a mano, la corazzata Potëmkin (una cagata pazzesca, confermo) l’Internazionale, Stalin, Lenin, la rivoluzione d’ottobre. Un grigio burocrate fedele all’apparato del partito. Con un solo colore: il rosso. Credo fosse fuori dalla storia anche quando contribuiva a costruirla: troppo serio e troppo convinto per riuscire a vincere qualcosa. Più che l’eterno secondo era il compagno che partecipava con foga e bravura senza la presunzione di vincere nulla. Non ha mai costruito la sua vita con la presunzione di poter, almeno per una volta, togliersi la soddisfazione di aver ragione. Anzi, come lo slogan del quotidiano “Il Manifesto” la sua è stata una vita dalla parte del torto. Con la convinzione assoluta di aver ragione. E’ stato fedele sempre alla sua robusta linea rossa: difensore dell’invasione russa in Ungehria nel 1956, oppositore acerbo al revisionismo di Enrico Berlinguer, non ha mai voluto accettare che si era esaurita la “spinta propulsiva” della Rivoluzione d’Ottobre. Quando Occhetto passò dal PCI al PDS lui, seguendo il tappeto rosso, decise per il comunismo: fondò Rifondazione Comunista. Fu coerente e tosto, sempre e per sempre. Un comunista vero, di quelli che, se fosse stato un professore, avrebbe sottolineato le cose belle con la matita rossa e gli errori, rigorosamente con il nero. Nessun dubbio. A me rimane, comunque, il ricordo di Totò e Peppino a Milano, con i colbacchi, il vigile, la nebbia e, forse, anche Don Camillo e Peppone. Altri tempi. Che non tornano, ma che fanno parte del nostro piccolo Pantheon. Dove, comunque, Cossutta merita un posto. Dalla parte del torto, ma lo merita.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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