La signora sale sull’autobus alla fermata di Via Roma, a Cagliari, fronte Rinascente. Avrà forse settant’anni portati con una certa autorevolezza. Ha in mano il biglietto e si appresta a vidimarlo nell’apposita macchinetta. Si guarda intorno e poi, con sicurezza, avvicina il suo tagliando al sensore dell’obliteratrice che non emette nessun “bip” di conferma. La signora, capelli ben sistemati e borsetta in similpelle osserva tutti quelli che ha intorno alla ricerca, forse, di qualcuno che gli dia un suggerimento, una spiegazione. Però sembra decisa a ripetere l’operazione e lo fa con naturalezza. Avvicina il biglietto al sensore e non succede assolutamente nulla. Lei, a questo punto rimette il biglietto in tasca e dice a voce alta, per essere sentita da tutti e cercare quindi l’assoluzione del popolo: “Non funziona. Ho provato ben due volte, ma non funziona”. Si potrebbe obbiettare che davanti, vicino all’autista c’è un’altra macchinetta oppure si potrebbe dire, seppure sommessamente, come fa un signore attempato e ricurvo che con lui, proprio un attimo prima aveva funzionato. “E che ci vuole fare, signore caro. Sono macchine e mica possiamo pretendere. Si guastano. Magari qualcuno le avrà manipolate” e si guarda intorno. Non so se alla ricerca di consenso assolutorio ma lo fa in modo circospetto. Mi rendo conto, ripensandoci, che il suo biglietto era “arancione”, ovvero quello che non si appoggia al sensore ma, essendo solo per una corsa deve essere infilato nella fessura per essere annullato. Mi precede un ragazzo giovane e sorridente che guardando la donna dice: “funziona, deve infilarlo nella macchinetta”. La signora a questo punto si sente come toccata da quelle parole e non ci sta ad essere dalla parte del torto, seppure in modo magari del tutto innocente: “No, mi hanno detto che basta appoggiarlo alla macchina e io questo ho fatto”. Il ragazzo continua: “Quelli che dice lei sono come le tessere del bancomat, di plastica e si ricaricano. Se lei avvicina la tessera scala la corsa. Come la mia” e mostra alla anziana signora la sua card, verde, di quelle che si ricaricano. “Io dico che non è così. Per me la macchinetta è guasta, qualcuno l’ha manomessa”. “Signora, se arriva il controllore le metterà una multa” “Ma stai scherzando? A me, una donna anziana, di Cagliari da generazioni, che ha sempre pagato le tasse. Ma cosa ne sai tu di questo paese che chissà da quale posto burdo dell’Africa vieni?” “Sono del Kenia signora. Lavoro da otto anni a Cagliari, ho un permesso di soggiorno e quando salgo sull’autobus pago regolarmente il biglietto”. La signora si guarda intorno ma non trova nessuno, neppure un bianco a solidarizzare con lei. “Mi chiamo Boseda e se mi porge il suo biglietto la aiuto a timbrarlo, un po’ come facciamo tutti”. La signora mette la mano in tasca e porge il biglietto a Boseda che velocemente lo infila nella fessura presente sulla macchinetta. Il biglietto è inghiottito e subito restituito vidimato. Il ragazzo lo porge alla signora e si allontana preparandosi a scendere: “Buona giornata signora e si ricordi che le macchinette non le distrugge nessuno anche perché mica ci sono soldi dentro”. L’anziana signora si siede e guarda fuori, dentro una Cagliari colorata che scorre e sorride in silenzio.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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