Io, da grande, volevo fare il giornalista. Lo so, non era era il sogno di molti bambini che preferivano, ai miei tempi, diventare medico, astronauta, pilota. Però io amavo le parole e le filastrocche e fin da piccolo amavo scriverle e decantarle. Lo facevo d’estate, nello stazzo di Austiancciu, in Gallura, dove passavo le vacanze da mia nonna, “minnanna”. Io, da grande volevo diventare giornalista per raccontare le cose, per il gusto di vedere le mie parole stampate e per la possibilità che qualcuno potesse leggerle. E commentarle. Come il protagonista del libro di Francesco Giorgioni “Cosa Conta” (ebook visuality publishing) un giornalista idealista e alle prese con questo strano mestiere. Perché, diciamolo francamente, quando si immagina una professione non ci si rende conto di quanto fango ci sia intorno e di quanti compromessi saremo costretti a siglare. Però il mestiere di giornalista (e mi piace che Giorgioni lo chiami “mestiere” e non professione) è, come dice il protagonista, “un po’ come il matrimonio: all’inizio ti toglie il fiato, poi pian piano inizi a intravederne certi aspetti sgradevoli”. Come molti mestieri e professioni. Vero. Ma io, che da grande volevo fare il giornalista a leggere questo libro mi sono commosso. perché ha ripercorso luoghi della mia infanzia spensierata, perché ho amato Franca, la protagonista femminile del romanzo, quando si inalbera per i nomi italianizzati dei luoghi: “non si chiama Ramazzino, si chiama Li rumasini, i rosmarini”. E io, a ripercorrere con le scarpe della memoria i miei luoghi: Piras, lu uaccileddu, la macchia manna e a correre dentro quei ricordi galluresi. Ma, il buon Giorgioni calpesta luoghi molto conosciuti e divenuti, nel tempo, un’icona per il “jet set” internazionale. La costa smeralda (monti di Mola si chiamava, come ricorda De André in una canzone citata anche nel libro) i luccichii falsi e terribili e noi costretti a guardarla con gli occhi di cameriere o di guardiano notturno o di bagnino. Io, da grande, volevo fare il giornalista ma da piccolo ci sono finito in costa smeralda , a Baja Sardinia, in un albergo molto famoso gestito da un emiliano che si reputava un comunista. E ho annusato quell’odore stantio e forte che emettevano tutti quelli che passavano da quelle parti. Occhioni, il protagonista del libro, voleva diventare giornalista per raccontare il mondo e per servire la verità, ma per quelle strade contorte che, a volte, si è costretti ad esplorare, si è trovato davanti a nuove ed intricate verità: che non erano le sue ed erano prestabilite, preconfezionate. Erano quelle che amava l’editore del giornale. Ci sono storie dentro il libro che vanno assaporate. Non solo quella di Pino Occhioni, il giornalista che riuscirà, con bravura, a far ripartire il rumore della propria anima e della quasi dimenticata coscienza, ma quella di Salvatore il comunista, quella di Aziz e quella di Franca, una donna che, come tutte le donne, è maestra nel saper attendere. Cosa che i maschi difficilmente riescono a fare. Il libro è come bere un bicchiere di acqua fresca: ci racconta la costa smeralda, gli intrighi e i pasticci, il potere e gli affari, ci racconta di uno strano mestiere che io, da piccolo volevo fare con tutte le mie forze. In fondo, leggendo il libro ci sentiamo tutti Pino Occhioni, occhi veloci e curiosi, occhi dipinti per poter raccontare le storie e per farcele amare. Giorgioni dimostra di essere un buon affabulatore, uno che da piccolo voleva diventare giornalista e che amava Berlinguer e Platini. Io, da grande volevo fare il giornalista. Avevo davanti a me la foto di Berlinguer e quella di Pasolini. Platini no, ed è l’unico appunto che posso fare a questo bellissimo libro: non sono juventino ma, riflettendoci per un attimo, il gesto di Roi Michel adagiato sul prato mentre l’arbitro gli ha annullato un gol nella vecchia “coppa dei campioni” è comunque un pezzo di poesia. E la poesia non ha tifo. Si ama a prescindere. Come questo libro e come questa storia. Per chi vuole diventare giornalista e per chi vuol capire certi meccanismi. Io, per colpa di questo libro ho deciso che da grande voglio fare il giornalista, non solo per raccontare le cose che mi girano attorno ma anche per poter sorridere e avere la forza di licenziarmi sul ritmo di una canzone. Perché, come ci ricorda il protagonista “a volte una combinazione di note e voce riesce a farti dimenticare ogni affanno. A farti ricordare che sei solo un essere umano tra sei miliardi di altri esseri umani”. Se fossi in voi, lo leggerei. Vi insegnerà il gioco del riscatto e la possibilità di poter ricominciare con grande dignità. Perché c’è sempre un punto da cui ripartire. E Occhioni/Giorgioni lo sa molto bene.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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