« Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche (…)». Anzi, dopo il “linciaggio” e il rituale di pubblica degradazione a cui sono stato sottoposto, non ne dirò alcune se non un immenso grazie a tutti quelli che hanno pienamente compreso le mie intenzioni e speso la loro faccia e le loro parole in mia difesa. «Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta ».
Alla fine ce l’abbiamo fatta! L’Italia è prima, prima per corruzione tra i paesi dell’Unione Europea. La certificazione arriva dall’ultima classifica della corruzione percepita, il Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, un gruppo di attenti osservatori internazionali che monitora il livello di corruzione di 175 paesi del mondo. Complessivamente siamo al 69esimo posto della classifica generale, come l’anno scorso, ultimo paese tra i membri dell’Unione Europea e del gruppo del G7: siamo, molto poco orgogliosamente, fanalino di coda tra gli Stati occidentali, essendo stati raggiunti anche da Bulgaria e Grecia . Siamo stati sorpassati dal Sud Africa, dal Kuwait, da Arabia Saudita, Turchia, Ghana e Ruanda.
In alto c’è altro, nella classifica. I “classici” paesi socialdemocratici del Nord Europa e, dopo la Svizzera, Singapore. Singapore, una “democrazia a metà” o, come scrivono altri, “una democrazia autoritaria”. Un paese estremamente complesso: economicamente avanzatissimo, al nono posto della classifica mondiale del PIL pro capite (52mila dollari; l’Italia è al 27simo con 33mila dollari pro capite), con un indice di sviluppo umano di 0,895 (18° posto nella classifica mondiale; l’Italia è al 25simo) ma anche con il People’s Action Party (Pap) come “partito egemone”, visto che governa la nazione dal 1959. Non esattamente una democrazia, dunque, ma un paese poco o per nulla corrotto, ora. Corrotto lo era stato molto, prima. Molto corrotto.
Dunque la buona notizia, per chi alle nostre latitudini è preso da immenso sconforto per l’italica situazione, è questa: si può cambiare. Qualcuno ci è riuscito a diventare molto meno corrotto, quasi per nulla corrotto. Gli strumenti che Singapore ha utilizzato sono diversi, ma alcuni di questi hanno – a parere degli esperti – funzionato come eccezionali leve per portar fuori il paese dalla palude della corruzione.
In primo luogo la presenza di un’unica Agenzia anticorruzione, forte ed indipendente: la Corrupt Practices Investigation Bureau (CPIB), può investigare chiunque, sia ministri o altri funzionari pubblici sia personalità con ruoli in private Corporations, senza chiedere permessi a nessuno col rischio di incappare in veti più o meno interessati.
In secondo luogo la capacità della magistratura di emettere rapidi giudizi, sia in sede penale sia in quella civile: l’indagato riconosciuto colpevole risponde prima sul piano penale con il carcere e una sanzione pecuniaria dello stesso importo della tangente contestata e, a seguire, in sede civile, per il risarcimento economico del danno alle imprese o alle amministrazioni pubbliche danneggiate dal suo comportamento illecito. È talmente forte la salvaguardia del sentimento di fiducia che deve continuare ad aleggiare negli investitori stranieri verso il paese, che le sanzioni e la severità contro le pratiche corruttive sono veramente (e, a quanto pare, efficacemente) dure.
In terzo luogo Singapore si è attrezzata di un’amministrazione pubblica efficiente: i funzionari pubblici devono essere competenti e onesti, quindi ben pagati. L’idea di un blocco degli scatti stipendiali in quel paese sarebbe letta come ridicola barzelletta. Nello stesso tempo nessun dipendente pubblico può ricevere doni o regali da alcuno; non può accendere un debito superiore ad una certa quota del proprio stipendio annuale; non può usare informazioni pubbliche per private faccende.
Con strumenti molto severi, dipendenti dalla ferma volontà politica, pur di un partito egemone, questo paese ce l’ha fatta, a diventare altro. Da noi la forza e la direzione del cambiamento sono, a quanto pare, molto più complicate, vischiose e piegate da gattopardesca intenzione. E la corruzione rimane lì, ad oliare come olio extravergine d’oliva, i meccanismi delle relazioni dentro lo Stato, tra Stato e Mercato, tra amministrazioni pubbliche e imprese.
P.S.: Poi c’è anche un altro tipo di corruzione, quella dell’animo, però. Qualcuno l’ha chiamata superbia, ovvero stima di se stessi che diventa disprezzo degli altri. Non un singolo peccato, quasi una costellazione di peccati: arroganza, arbitrio, tracotanza, apparenza esteriore, desiderio di abbassare gli altri per emergere, prepotenza e violenza. I padri della Chiesa come Agostino e Gregorio Magno la sintetizzano in questo modo: credere che il bene posseduto derivi esclusivamente da se stessi oppure di averlo ricevuto solo per i propri meriti; vantarsi di ciò che non si ha; cercare di far apparire uniche e singolari le proprie doti disprezzando gli altri. Se poi questi “altri” – fino al giorno prima e ipocritamente – venivano definiti “amici”, il peccato è ancora più grave, quasi un abominio. Ma quest’ultima considerazione è solo mia. Agostino non c’entra.
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