Marzo 1967.
Porto Torres è una città che cresce a vista d’occhio. Solo pochi anni prima aveva circa diecimila abitanti e si avvia velocemente verso i ventimila. Gli edifici storici sono concentrati nelle poche centinaia di metri del Corso: il Mercato dove oggi è il municipio; la Caserma dei carabinieri in via Sassari; il Comune nella parte bassa del corso dove ora sorge la BNL. Con Bruno abbiamo fissato la data delle nozze per il 15 aprile e ci son da fare le pubblicazioni.
Il piccolo corteo composto da me, Bruno, i miei genitori, che devono firmare perché io non sono ancora maggiorenne (ci vorranno ancora otto anni perché la maggiore età sia fissata a diciotto anni) e i testimoni percorre quelle poche centinaia di metri che separano via Colonia Romana dal Comune.
Allo stato civile, ma anche all’anagrafe, c’è signora Paolina, un’anziana impiegata che conosce tutti i portotorresi e che con l’arrivo di quelle migliaia di forestieri mostra una certa insofferenza, perché non può chiedere: – Di ga’ sei figlioru?* – e rispolverare tutto l’albero genealogico, ma deve limitarsi a chiedere, di fronte ad un forestiero: – Di dove sei? – e col suo piglio severo, austero e a tratti scontroso compila, con la sua bella grafia i certificati. Signora Paolina aveva una lunghissima esperienza e la sua scontrosità nascondeva una grande competenza e un cuore generoso e disponibile.
Ma torniamo alle pubblicazioni.
In piedi dietro la scrivania, signora Paolina prepara i documenti. – Firma qui, qui e qui – fa rivolta a Bruno mettendogli davanti quelle carte, e mentre Bruno firma, lei chiacchiera con babbo, col quale aveva una certa familiarità (anche se era uno dei pochi portotorresi ai quali dava del lei, forse perché era arrivato da fuori venti anni prima).
– Fatto – fa Bruno, dopo aver firmato, restituendo la penna a signora Paolina.
E qui succede il finimondo.
– Cosa hai fatto? – urla sventolando i fogli, – cos’è che hai scritto? Dovevi scrivere il cognome e i nomi, no’ chisthu ischrinfioni! Ma da undì ni si vinendi?**
Se lo avesse fatto oggi, ad un giovane venticinquenne, sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
Ma Bruno era un giovane tranquillo, educato, abituato ad un certo comportamento che, ci teneva a ricordarlo, aveva acquisito in Accademia a Livorno e nei due anni e mezzo di imbarco da ufficiale di Marina Militare, e nel 67, nonostante la giovane età era un tecnico con grosse responsabilità all’interno del petrolchimico.
No, neanche lui con la sua pacatezza ci sta ad essere trattato a quel modo.
– Senta signora, intanto lei mi ha detto di firmare e quella è la mia firma; secondo, avrebbe dovuto dirmi di scrivere il mio cognome e nome per esteso; terzo, è la prima volta che mi sposo, infine, a differenza di come sta facendo lei da quando sono entrato in quest’ufficio, io le sto dando del lei e mi deve fare la cortesia di fare altrettanto!
Inutile dire che signora Paolina accusa il colpo, riprende a parlare in italiano e: – Scusi, in effetti io le ho detto di firmare, ma nei documenti pubblici per firma si intende cognome e nome per esteso, e comunque lei potrebbe essere mio figlio e forse mio nipote. -E invece non sono né suo figlio né suo nipote, e ribadisco che quando si firma si mette prima il nome e poi il cognome! –Eja, me’ figlio’, vai e fallu cumprindì a ca’ v’ha polthu un mesi pa’ imparà a ischribì lu cugnommu e l’innommu...***
Cinquant’anni son passati, e ancora oggi c’è gente che non sa “firmare”.
* Di chi sei figlio? ** non questo scarabocchio! Ma da dove stai venendo? *** Eja, figlio mio, vai e faglielo capire a chi ha impiegato un mese per imparare a scrivere il cognome e il nome..
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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