Gli esseri umani sembrano avere una vera e propria ossessione per la ragione e per il torto. Si potrebbe pensare che questa ossessione provenga da un “io” che nella vita moderna è tanto più isolato quanto più individualista. Potrebbe essere dunque la condizione dell’umano moderno, la sua solitudine, il suo individualismo, una certa tendenza al protagonismo, per non dire all’io ipertrofico e all’egotismo, che porta a irrigidire la comunicazione dando un eccessivo valore alla ragione contro il torto.
Tuttavia, se non ci fosse una qualche giustificazione ai propri gesti, la società imploderebbe, verrebbe dilaniata da conflitti e da lacerazioni, ben più di quanto lo è ora. L’etica della ragione, dunque, ha una funzione di collante sociale. Ecco perché prima di compiere una qualunque azione socialmente visibile, che tende ad andare oltre le convenzioni e la prassi, ci si arma di ragione lasciando il torto agli altri, come nel celebre aforisma di Bertold Brecht. Nel corso delle guerre i contendenti si confrontano in un modo così estremo che le loro ragioni tendono ad allontanarsi fino a risultare incompatibili. La ragione e il torto si polarizzano, si divaricano, quando c’è una contesa bellica.
Da qui la propaganda, che è fenomeno essenziale della guerra, per condizionare l’opinione pubblica che ha un certo peso nel conflitto. Al punto che spesso una propaganda efficace funziona più delle armi fino a condizionare l’esito dei combattimenti. La guerra, pertanto, è nemica della ragione, è nemica del pensiero.
La guerra è il buio della ragione che crea mostri, è il buio assoluto, è il nulla del niente dove non si prefigura nessun pensiero che non sia preordinato. Ogni ragionamento sulla complessità viene scambiato per fazioso, viene ripudiato con forza, o stai con me o contro di me, punto e basta, con frasi categoriche e sprezzanti. In questa guerra, in questa dolorosa guerra dentro l’Europa, parlare di ragione o di torto è però superfluo, perché è piuttosto evidente che nessuna giustificazione può autorizzare uno Stato sovrano ad invaderne un altro. E fin qui, la riduzione all’atto essenziale dell’invasione come assoluta negazione della pace e della civile convivenza, è opportuno per delimitare un campo etico assolutamente imprescindibile.
Ma ciò non dovrebbe evitare al pensiero di elogiare e indagare sempre la complessità (intesa, come bene spiega Edgar Morin, nel suo più potente significato rivoluzionario e filosofico). Capire, ad esempio, come scorre il gas russo, da dove parte e dove arriva e quali e quanti interessi e contrasti geopolitici smuove. O incominciare, ad esempio, a prendere coscienza che la Nato, (vedere a questo proposito la graduatoria dell’autorevole sito Global Fire Power delle potenze militari mondiali) ha perso quello scettro di dominio militare assoluto sul pianeta.
Il pensiero bellico e semplificato rischia così di frantumarsi dentro le ragioni della fazione, che pure, anche in questo caso bellico essenziale, si manifesta (per motivi forse più legati alla psicologia che alla cognizione geopolitica).Invadere uno stato è sempre un atto abominevole, come scorretto è soltanto ripensare i confini delle attuali nazioni, che pure sono assurdi e non seguono di certo, nella maggioranza dei casi, le prerogative etniche o linguistiche. Ma, com’è stato ripetuto, rimetterli in discussione significherebbe scatenare una reazione a catena irreversibile. Invadere una nazione sovrana con un esercito è un atto esecrabile, lo ripeto ancora e ancora.
Qui però ci troviamo di fronte ad un muro etico e culturale, di fronte alla nostra onestà intellettuale, di fronte ad un bivio della ragione. L’evidente torto, per il consesso umano che vieta, sotto forma di buonsenso, etica e regole, l’invasione di una nazione in un altra, può impedire il paragone? Può impedire, questo evidente torto guerrafondaio, così evidente per tutte le persone libere da costrizioni ideologiche e preconcetti, il paragone a parti invertite? Il bivio: trascurare, in ogni manifestazione del pensiero, che le nazioni occidentali, di cui facciamo parte come appartenenti alla nazione italiana, hanno anche loro invaso impunemente altre nazioni? E lo hanno fatto non solo storicamente, ma anche recentemente? E che si è fatto tante, troppe volte, negli ultimi anni, distruggendo intere nazioni, e massacrando intere popolazioni, al punto che è stato coniato il termine di “guerra infinita”?
Onestamente va detto che la considerazione di quello che succede ora è ben altra, rispetto alle invasioni “nostre”. Non parlo solo di certe esagerazioni emotive da reality show e persino delle numerose fake news, e non parlo solo di certe assurdità russofobiche a cui abbiamo assistito in questi giorni; ma proprio di una visione del mondo che è tanto “atlanticocentrica” quanto fragilissima di fronte ad una onesta introspezione.
Però il bivio della ragione, in questo caso, è spietato: ogni benaltrismo su quanto fatto precedentemente in Libia, in Siria, in Iraq, eccetera eccetera, con tutto il corollario di morte, distruzione e terrore, conduce ad una deformazione da pensiero bellico, a quella indebita semplificazione che in tempo di guerra impedisce le connessioni logiche e il pensiero libero.
Per cui, ricordare che la guerra è oscena da qualunque parte provenga, anche quando a farla siamo “noi”, potrebbe indurre la mente umana a quel vizio di fondo, e a deformare il pensiero in due diversi modi. Una è l’attenuante, o addirittura la giustificazione, di quanto sta facendo la Russia ora: “se lo hanno fatto gli americani, i britannici, gli europei, gli occidentali impunemente, allora che possano farlo anche i russi”. La seconda deformazione del pensiero, di fronte al bivio della semplificazione “Ma questo è voler giustificare una carneficina, un crimine di guerra!”.
Entrambe, dunque, sono deformazioni di un pensiero binario, vittima delle semplificazioni di un clima bellico. Riuscire ad andare oltre, questo pensiero binario, che se vogliamo è un pensiero bellico, non è facile, ne sono consapevole. Il pensiero finisce lì, lì si tuffa e sprofonda, o da una parte, o dall’altra. Come negli studi di Claude Levi-Strauss sul pensiero oppositivo, sul crudo e sul cotto.
Quindi sedersi dalla parte della pace significa andare oltre questo pensiero binario. Andare oltre il torto e la ragione e condannare la guerra quando si presenta, anche quando essa ci impone una introspezione impietosa, perché a fare quella guerra siamo “noi”, per i nostri interessi nazionali, per la difesa delle nostre risorse, per la rapina delle risorse altrui.
Se davvero auspichiamo un mondo di pace, il pensiero bellico va reso estraneo alla nostra mente. Il senso della ragione va inteso come volontà di armonia con la società, e non come volontà di piegare la società alle nostre ragioni. Ora, se rivogliamo il nostro mondo pacifico, dovremmo lottare tutti, anche con piccoli gesti, contro questo abominio guerrafondaio ai confini di casa.
Ci dovremmo schierare tutti contro chi invade un altro paese. Contro chi fomenta le guerre, e chi sputa sul tavolo della pace. Sempre.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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