La mia terra si allontanava, la mia terra madre, la madre Africa, e io non respiravo più. Lunghi giorni e lunghe notti, ammassati nelle stive delle navi negrerie, tra il vomito e il piscio e l’odore della morte che restava anche quando i cadaveri venivano rigettati in mare. Il canto, in quei campi di cotone sterminati, con l’aguzzino pronto a frustarci a sangue, il canto serviva molto a proteggere l‘anima dalla follia, dal dolore, dall’orrore del nulla che siamo diventati, senza patria, senza stirpe, senza una ragione per vivere che una. E’ in quelle situazioni che, se si vuole sopravvivere, allora l’anima si inventa un canto per sopportare i peggiori dolori interiori. Oggi il blues lo cantano musicisti di ogni parte del mondo, bianchi e neri, che hanno imparato il trucco. Impostano l’animo in modalità “alienazione dal dolore”, e il dolore va via. Anche quello moderno, condizione di una disarmonia che è la prosecuzione di una scelta collettiva di vita, che ci aliena da molte, troppe cose belle e umane, scappa via. Intanto, gli schiavi neri due volte vennero sfruttati. Prima come forza lavoro, e poi come musicisti. Le case discografiche americane e bianche facevano soldi a palate con la musica inventata o nata con il contributo fondamentale dato dagli afroamericani. Non solo il blues, il gospel, il soul, ma anche il rock e il jazz nacquero in contesti multiculturali, dove diversi generi, provenienti da ogni parte del mondo, si fusero tra loro. La storia dell’umanità non è altro che la storia degli scambi culturali tra i popoli. Non è mai esistito nessun fatto storico senza il confronto tra gli uomini. Se non fossero esistiti i fenomeni migratori noi, oggi, tutti, eravamo dentro le caverne emettendo suoni gutturali vestiti di pelli. Solo la parte più retriva, inutile e priva di anima dell’umanità, continua a concepire il mondo come compartimenti stagni, ciascuno dentro i propri confini, che sono più barriere mentali, prodotti da ignoranza, egoismo e paura, che tracciati amministrativi. I flussi migratori si gestiscono con intelligenza e cultura. Guai se la strumentalizzazione dei politicanti da strapazzo fa mettere le loro luride mani su quella ignoranza, quell’egoismo e quella paura, perché finisce che quella porzione di umanità fa un balzo indietro, torna verso l’uomo delle caverne. Questo ci insegna la musica, che è scambio e mescolamento tra i popoli che ci gonfia il cuore di amore, passione e gioia. Questo ci insegna il blues, che dalle peggiori sofferenze dell’uomo possono nascere rimedi, medicine capaci della più esorbitante redenzione. Questo ci insegna il miracoloso e grande festival blues di un piccolo paese del nord Sardegna, Aglientu. Un festival che offre lo spettacolo dei più grandi nomi a livello mondiale di questo genere musicale. Lo offre nel vero senso della parola, nel senso che è uno spettacolo gratuito. Il che, a pensarci bene, non è affatto banale. E non è l’unica offerta musicale o culturale in Sardegna data gratuitamente e pensata anche come ospitalità per i turisti. La musica, il blues, allarga gli orizzonti.
(foto presa dalla pagina FB dell’ASBF)
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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