Esattamente due anni fa scrivevo questo articolo, oggi tornato tristemente di attualità a causa di certe alleanze molto opportunistiche, oltre che scellerate.
Per uno che, come me, si dedica all’abbattimento delle barriere culturali tra i popoli, la visita di Salvini, nella mia terra, in Sardegna, ha un significato particolare. Premetto che io non scado mai nel razzismo e nella retorica anti-italiana. Dico questo perché sia chiaro che non agito fantasmi di colonialismo tanto per, che non ho pregiudizi contro nessuno, e neppure sono prevenuto con chi viene dall’Italia.
Dico anche che scrivo questo articolo in prima persona, con il mio Io in evidenza, per un motivo semplice. Ammetto un mio limite estemporaneo: non riesco, in questo caso, ad essere completamente estraneo alle mie emozioni. Ammetto di provare una certa rabbia per alcune, per fortuna poche, scene di amicizia con un personaggio che fino a ieri ci ricopriva di merda, e oggi è in Sardegna con l’unico scopo di rilanciare un centrodestra nazionale che è il peggiore della storia. Ammetto di provare indignazione per quella frangia di indipendentisti, spero pochi, che salutano come “democratico” il confronto con uno che fa del razzismo il principale motivo di propaganda.
In questa manifestazione colgo non solo la miseria del sardo succube e sottomesso nei confronti di chi ha le tasche piene di soldi, ma anche quella sete di rivalsa perversa che ci vorrebbe passare da vittime a carnefici. Quella strizzatina d’occhio al destino futuro, con tanto di sorrisetto malizioso, che ci porterebbe a braccetto con un movimento che tutto è fuorché movimento di liberazione popolare, ma semplicemente una modalità, furba e cinica, di ulteriore sfruttamento di aree geografiche forti nei confronti di aree geografiche deboli.
La Lega altro non è che la prosecuzione, con un provvidenziale reclutamento delle fasce popolari meno consapevoli e meno razionali, della storica politica di sfruttamento del Nord nei confronti del Sud. Lo abbiamo abbondantemente visto, quando questo partito era al potere, come difendeva, ad esempio, gli interessi degli allevatori del Nord, facendo pagare i costi al paese, e prendeva a bastonate, invece, i pastori sardi. Una storia già vista: basti pensare cosa fece il governo a maggioranza nordista alleato con il ceto baronale del Sud, in occasione della guerra doganale con la Francia, a fine ‘800, per proteggere l’industria del Nord Italia a discapito dell’agricoltura del Sud, che così, specie da allora, entrò in profonda crisi.
Guardate che le cose, da allora, non sono mica cambiate. L’alleanza tra la borghesia industriale del Nord con i ceti padronali e latifondisti del Sud, anche quelli di matrice criminale, è una costante storica del nostro paese, il principale motivo delle disparità sociali e degli squilibri economici di un paese che, altrimenti, con la tradizione manifatturiera e culturale che si ritrova, non avrebbe avuto tutti questi problemi. Oggi questo partito ha trovato il sistema per crescere in popolarità e temo che anche in Sardegna qualche sprovveduto ci possa cascare. Da anni, ormai, una propaganda mediatica, a volte palese, a volte subliminale, tende a spostare l’attenzione della pubblica opinione nei confronti di un nemico immaginario, lo “straniero”, che sia immigrato, minoranza etnica, o altro, magari una categoria sociale o culturale particolare.
La Lega ha accolto in pieno questa propaganda, se n’è fatta partecipe e protagonista in modo cinico e spregiudicato, sdoganando, di fatto, il razzismo nel nostro paese, con gravissime conseguenze sul piano della coesione sociale, della capacità di ragionamento dell’opinione pubblica, persino dei rapporti internazionali. Tuttavia il far riemergere questi sentimenti negativi che albergano come mostro oscuro nella pancia delle persone, ha procurato alla Lega un doppio risultato: ottenere un certo consenso popolare, di rabbia e di egoismo, e spostare l’attenzione dai veri problemi e dalle vere forme di sfruttamento e, soprattutto, allontanare la cultura popolare dal ragionamento e dalla riflessione.
Che il problema degli italiani siano i pochi spiccioli, assolutamente insignificanti per il bilancio nazionale, spesi per l’accoglienza, solo un black out totale della capacità di svolgimento logico del pensiero può farlo credere. Il pensiero libero, per costoro, è il vero nemico. Meglio alimentare una miserabile lotta tra poveri, mettere i nostri disoccupati contro i poveri immigrati che vendono paccottiglie ai margini della strada, mettere i pensionati che arrancano insieme ai rifugiati in fuga dalle guerre, tutti nella stessa pentola a scannarsi tra loro.
Ora l’operazione salviniana, che solo gli ingenui non colgono, è quella, molto semplice, di cambiare modalità al razzismo. Dal razzismo contro i pastoracci sardi rei di non avere spirito imprenditoriale, di essere poco locos y male unidos, e tutte le altre scempiaggini razziste e anche autorazziste di cui ci flagelliamo, verso i poveracci che sono ancora più poveracci di noi.
Ed un certo complesso di inferiorità, figlio di quell’autorazzismo, può darsi che si possa sentire persino pregiato dalla considerazione di questo carnefice travestito per l’occasione da agnello. Facile no? Poi dice: ma il confronto democratico. Mi spiace, ma anche il confronto democratico ha i suoi limiti. Il confronto democratico ha i suoi limiti, e dovrebbe sempre, dovunque e comunque, dare le spalle al razzismo. E anche alle prese per il culo.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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