E’ facile adesso dire e scrivere: ero suo amico, oppure rivoltare il cielo partendo dallo scontato “mi ricordo che”. Salire sul carro del vincitore o su chi ha appena cominciato un nuovo viaggio è un classico. Penso che Michela Murgia non ne sarebbe felice di certi ricami letterari o di passaggi simil poeitci intorno alla sua persona e al suo essere “intellettualmente vivace”. Lei era l’alfa e l’omega, il voler puntualizzare sempre e comunque. Praticava uno sport difficile: quell’essere con lei o contro di lei, preso in prestito dalle ceneri di Gramsci, la poesia di Pier Paolo Pasolini: “con te nel cuore, in luce, contro di te nelle buie viscere”. Non era semplice dialogare con Michela. Non lo era perché lei non sapeva mediare e, forse, non voleva farlo. C’era un aspetto visionario nell’analizzare le cose che a volte spiazzava, a volte, invece, costringeva l’interlocutore a lasciar perdere, a non continuare su una strada irta di incroci pericolosissimi. Nel corso della sua – purtroppo – breve vita terrena è passata da un libro irriverente come “tutto il mondo deve sapere” (e il titolo la diceva lunga sulla sua capacità visionaria) alla poesia dolcissima e struggente di “Accabadora” sino ad abbandonare la narrazione classica per intraprendere discese ardite e risalite verso il femminismo, l’indipendentismo, il linguaggio di genere. Una crociata a volte eccessiva in tutto, anche “nella sardità etnica esibita soprattutto agli inizi della sua vicenda pubblica” così come ha sottolineato su Repubblica Simonetta Fiori in un bellissimo articolo non pietistico e non scontato. Michela era necessaria. Per molti motivi: servono eccome persone in grado di contrastare il “mainstreaming” attraverso le armi dell’esposizione massiccia nei social. Michela Murgia questo l’ha fatto benissimo perché lo sapeva fare. E, forse, perché lo doveva fare. Era nel suo modo eccentrico di costruire il mondo, era nel suo modo incredibile di pennellare le parole tra le contraddizioni e la voglia di esserci: fisicamente e mediaticamente. Potrei aggiungere che ci siamo conosciuti, che aveva amato il mio “il giorno di moro” (meriterebbe altre platee, mi disse) ma non avrebbe senso. Non siamo stati amici – nel senso forte e intenso che si dovrebbe dare alla parola – e di lei ho amato moltissimo alcuni passaggi irriverenti e terribilmente affilati. Sono rimasto però seduto davanti alle pagine di “Accabadora”, una storia vera, forte, incredibile, tosta e non banale: come la sua autrice. Michela era questo e il contrario di questo. Se fosse qui direbbe, con un sorriso: “soprattutto il contrario di questo. E non solo di questo”. Addio Michela. Ci mancherai. Almeno spero.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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