E sto qui nella mia cameretta aspettando le dimissioni. Nel libretto dell’intervento leggo che i tempi medi di degenza per una mastectomia sono di tre giorni, così attendo paziente, anche se la notte non dormo più di tanto, la cosa non mi pesa perché la finestrona trasmette documentari botanici dall’effetto rilassante, tu li osservi stando nella posizione semisdraiata o semiseduta, dipende se il vostro punto di vista è ottimista o no.
Ecco l’ottimismo, parliamone. Immaginatemi in quella posizione sul letto, mi rivolgo alla telecamera guardandovi negli occhi e inizio a ragionare con voi sul pensiero positivo e balle varie. Succede che dopo il primo giorno, tolgano la fasciatura al seno, fasciatura fatta di garze incollate, forse a sputo ma sputo potente perché sembra una corazza. Sarà il vostro bozzolo da cui rinascerete farfalle, perché una sisa così io manco a 18 anni. Ecco che dopo avervi liberato dovrete mettere subito il reggiseno a due posti di cui vi ho parlato precedentemente. Siccome quello già acquistato non andava bene, il mio compagno ha iniziato il vagabondaggio di cui ho già scritto, dalla merceria sita al piano terra fino alla stanzetta dove avvenivano le prove.
«Che taglia?»
«Ehm mi ha detto una seconda»
No! Dovevo scordarmi la seconda, ora ho una terza a sinistra e una seconda a destra. Quindi torna indietro e ritenta
«Bene, una terza sì ma che coppa?»
E così via via fino a trovare taglia e coppa giusta, sì la destra rimane più vuotina ma ci penseremo poi, guarda lei invece come riempie per bene. Sembrava di avere in petto la sintesi del primaedopo.
Dicevamo dell’ottimismo (sto sempre guardandovi negli occhi), succede che è diffusa l’idea che il pensiero positivo aiuti etc etc e sarà vero anche se nonc’èevidenzascientifica. Quanto mi piace dire questo mantra come se una cosa che non è stata validata scientificamente, non sia vera in assoluto, PERO’ c’è un limite a tutto, quando l’ottimismo trapassa il buon senso e si affaccia nell’incoscienza, allora qualcosa non funziona, passo all’esempio pratico.
Contenta com’ero di aver la sisa da pornostar, di aver tolto il baco, di aver provato l’ebrezza dell’anestesia totale, non mi riguardavo più di tanto, lo ammetto. Anche con un dolorino qui e lì, non mi lamentavo perché non mi pareva importante. Dicevano di “non muovere troppo le braccine” ma non ricordavo le raccomandazioni, le braccia si muovevano perché ero in forma e così, non so se avevo strafatto o se il reggiseno acquistato stava troppo stretto al torace, fatto sta che inizio ad avere capogiri e annebbiamenti, così per punizione, a letto. Ricordo che senologa, infermiera e medico di reparto, erano tutti attorno al mio letto quando mi comunicarono che avrei saltato il pranzo, in questo caso la telecamera coincide col mio punto di vista, quindi siamo in soggettiva e vedo tre volti in controluce a sovrastarmi che mi dicono all’unisono e con voce distorta
«Oggi niuenteee pranzuooooo» e c’era pure il flan di ceci e curcuma nooooooo.
A proposito di pranzi e cene, i degenti mangiano le stesse cose degli impiegati allo IEO, passa l’addetto della mensa oppure vi telefona, per chiedervi cosa vorrete mangiare per colazione, pranzo e cena. Le opzioni per ogni portata sono due. Questo ottimo metodo, oltre a farvi mangiare robbabuona e non le solite verdurine bollite con fetta di prosciutto cotto dai colori variegati, oltre a farvi scegliere cosa mangiare e come combinare primo-secondo-contorno-frutta-o-dessert, oltre a non avere pasti di serie A per medici e serie B per degenti, porta anche a un risparmio. Ho visto coi miei occhi in altre strutture, vassoi preconfezionati e già combinati di primo-secondo-contorno e non sempre se vuoi la zuppa di primo, mangi poi la suola di carne come secondo, che qualcun altro ha deciso di abbinare al posto tuo senza conoscere magari intolleranze, scelte di vita, capacità dello stomaco etc. Così è facile buttare/sprecare tanti di quei piatti da sfamare uno Stato intero (e non parlo del Vaticano)
Come è stata la degenza quindi? A parte quell’incidente di percorso che mi ha fatto slittare il rilascio, non tre giorni ma cinque, ho visto avvicendarsi compagne di stanza mentre io facevo la veterana. A partire dalla ragazza di origini rumene che ius soli levate, perché parlava un romagnolo meglio dell’assessore Cangini-Cevoli, a quella che è diventata una grande amica di Caserta. Sì il medico di turno non sapeva dove fosse Caserta, ma l’importante che sapesse dove in genere, sono collocate le sise. Le notti erano scandite dalle trombette dei drenaggi, passavano ogni tot a vuotarli per cambiare il sacchetto e l’operazione produceva sempre questo suono tipico della trombetta stonata di una malinconica festa mal riuscita peeeeeeuuuu
Le attività della degenza comprendevano: gemellaggi con altre stanze, scambi di amicizia ed esperienze; fisioterapia dal secondo giorno per allenare il braccio con stretching e riabilitazione, a maggior ragione nel mio caso che avevo dovuto salutare per sempre ben 37 linfonodi; pasti suddivisi in colazione, pranzo, tè con biscotti al pomeriggio e cena a finire; flebo e prelievi vari tutti passavano dalla farfallina (non quella di Belen) e poi visite varie di medici e personale infermieristico che devo dire mostravano grande gentilezza e professionalità. Una notte ricordo un infermiere dai modi compìti che sistemò me e la socia di stanza in maniera che fossimo comode, a causa dei drenaggi devi scordarti posizioni laterali, fetali, prone. Solo supina (scusa Pina)! L’infermiere dopo averci sistemato, si pose al centro tra i due letti, sono sicura che un occhio di bue lo illuminasse e non erano gli effetti del Toradol che mi facevano vedere il fascio di luce, fece un inchino con profonda reverenza congedandosi con un “Signore, vi auguro una serena notte”, aspettavo solo che terminasse con
«… localizzate le uscite di emergenza più vicine. In caso di necessità, un sentiero luminoso ne faciliterà l’individuazione»
Sparo pixel alla rinfusa, del resto sono nata sotto un palindromo (17-1-71), non potevo che essere tutto e il contrario di tutto. Su una cosa però non mi contraddico «Quando mangio, bevo acqua. Quando bevo, bevo vino» (cit. un alpino)
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