Ragazzi, Come sapete vi ho assegnato un compito scritto, chiedendovi di consegnarlo oggi. Volevo scriveste della vostra estate, del vostro lavoro negli alberghi e nei ristoranti, delle giornate sì e delle giornate no. Tutto quel che vi è rimasto, tutto quel che oggi vi passa per le teste di quest’ultima stagione da camerieri, cuochi o baristi. Siete ragazzi della scuola alberghiera e mi interessa sapere cosa abbiate imparato in quei tre mesi di vacanza, che per voi vacanza non sono: voi non ve ne state al mare come altri ragazzi, voi faticate e cercate di imparare una professione. Lo so cosa pensate: facile, per chi sta dall’altra parte, comandare, assegnare il primo titolo che gli gira e poi impugnare la penna rossa per stroncare, senza pietà. Giusto. E allora, per una questione di equità, il compito che ho assegnato l’ho scritto anche io. Contiene una domanda per voi. Il ricordo più forte di questa estate è stata una cena in un ristorante gestito da sardi, non in Costa Smeralda ma nei dintorni della Costa Smeralda. Ci sono andato perché invitato da amici. Ricordo di avere ordinato un’insalata di mare, uno spaghetto all’aragosta, un fritto di calamari. L’insalata era probabilmente quella venduta, in barattolo, nei centri all’ingrosso: la consistenza del copertone da bicicletta, un sapore indefinibile, forse di gomma da masticare, quando il gusto scompare a furia di palleggiarla tra le mandibole. Gli spaghetti affondavano dentro un mare di panna: sotto la coltre bianca, ogni tanto, spuntavano minuscoli cocci di crostaceo. I calamari, surgelati, non sapevano di nulla. Anzi, sapevano d’olio esausto.
Credo di non aver mai mangiato così male in un ristorante. E chissenefrega, direte voi. E avreste pure ragione, se solo quel ristorante non registrasse regolarmente il tutto esaurito da anni, con gente in fila che si scanna per contendersi il primo tavolo libero. Com’è possibile che un ristorante che serve cibo tanto scadente abbia un giro d’affari così astronomico? Semplice: fa prezzi stracciati, aspetto cui nessuno è indifferente. E così, tra le auto parcheggiate fuori dal locale, trovi anche la Ferrari e la Porsche.
La prima cosa che ho pensato, mentre tornavo a casa, è stata questa: quando ci dicono che la qualità, alla fine, vince sempe, penso che ci dicano una sciocchezza. Basta servire roba scadente per tagliare i costi e illudere la gente di poter ordinare uno spaghetto all’aragosta per otto euro: il gioco è fatto.
E allora, io vi chiedo di regalarmi una speranza. Voi, che mettete tanto impegno nell’imparare a cucinare e servire, dovete convincermi che il vostro impegno ha un senso, che l’arte di saper accogliere le persone offrendo loro tutta la vostra conoscenza e professionalità serve ancora. Vi chiedo di ribellarvi contro chi squalifica il vostro impegno quotidiano e di spiegare perché la qualità, a tavola, è una dimostrazione di rispetto e serietà.
Spiegatemelo e cercate di convincermi. Se non ci riuscirete, anche con le vostre parole, ogni sforzo per diventare dei bravi professionisti servirà a poco.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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