Più passa il tempo e più la professione di padre mi appare difficile. Quindi, ministro Poletti, non ci si metta pure lei. Può darsi pure che tre mesi di vacanze estive siano troppi e agli studenti si spenga il cervello, ma lei ha presente quali fornaci diventino le classi di un qualunque istituto scolastico ai primi tepori estivi? Certo, lei suggerisce di impiegare parte delle vacanze a fare formazione, ma io so come potrebbe andare a finire questa proposta: dentro una classe a far scorrere il tempo, col ventilatore al massimo. Lasciamo stare l’aspetto termico. Chi le dice, poi, che nei tre mesi di vacanze tutti i ragazzi poltriscano, si rammolliscano nel dolce far nulla? Io andavo al mare, certo, ma avevo anche la responsabilità di innaffiare l’orto, davo una mano a mio padre nella manutenzione del camion, pulivo spiagge o facevo manovalanza in un supermercato. Ho imparato tante cose e sono sicuro che, anche oggi, tanti ragazzi sanno come occupare il loro tempo libero.
Non è di questo, però, che voglio parlare. Voglio parlare di quanto sia difficile interpretare il ruolo di padre, quando il padre indossa le vesti di insegnante supplente. I nostri figli li abbiamo aiutati tutti a fare i compiti, quando trovavano qualche difficoltà o non riuscivano a digerire un argomento ostico.
Ieri sera, alle 11, ero seduto faccia a faccia con Angelo, sul tavolo una distesa di fogli a quadretti: cercavamo di risolvere problemi di geometria, ma lui era stanco e non capiva. Mi sarei dovuto arrabbiare. E infatti mi sono arrabbiato. Però poi ho riflettuto sulla sua giornata: ingresso alle 8 in classe, uscita alle 14, pranzo, pausa videogiochi, stesura di un racconto giallo, studio di una lezione di grammatica, cena. Quando è venuto il momento dei problemi di geometria, era naturalmente stravolto. E ho capito che i miei rimproveri erano ingenerosi: me ne sono pentito. Può darsi che altri ragazzi della sua età riescano a gestire il tempo meglio di lui, ma al mondo non tutti sono uguali.
Da una statistica risulta che gli studenti italiani sono quelli più vessati per mole di compiti a casa: per la mia esperienza di padre, non posso che confermare. Ma mi pongo altre domande. Un ragazzino di dodici anni che passa sei ore a scuola, rinchiuso in una classe e seduto su una scomoda seggiola in formica, al pomeriggio avrebbe anche diritto di fare altro: giocare per strada o in cortile, sbucciarsi le ginocchia, andare in giro per conoscere il mondo, saper riconoscere piante ed alberi, fare sport, pedalare in bicicletta e sviluppare autonomia, imparare a suonare uno strumento, saper apprezzare la vita. Si cresce anche così, oltreché sui banchi di scuola. Ma io non so quanto tempo resti, ai ragazzi di oggi, per crescere oltre gli impegni di studio. Quindi, caro Poletti, non ci si metta pure lei. E giù le mani dalle estati spensierate dei nostri cuccioli.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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