Il giorno che Fabio Aru prese la maglia gialla, il giorno più bello della sua vita sportiva, rientrando in albergo, festeggiato dallo staff della sua squadra, scoprì di avere una strana sensazione alla gola. Una puntina, un raspetto, accompagnato da qualche colpo di tosse. Come Don Rodrigo risvegliatosi con i sintomi della peste, dopo una notte inseguito dagli incubi, Fabio la mattina successiva si rese conto che quella punta, e quei colpi di tosse, non erano i normali esiti di un grande sforzo, ma l’incubazione della odiosa bronchite, compagno di strada consueto del ciclista. Colpi d’aria, vento, sbalzi di temperatura, e il viaggiare per lunghi tratti in gruppo, insieme a centinaia di altri ciclisti, rendono i germi della bronchite il consueto compagno di viaggio del corridore. Per quanto la volontà cerchi di scacciare via l’idea di quel fastidioso germe, per quanto il sistema immunitario, già sottoposto a duro stress dalle fatiche della gara, si faccia aiutare dagli antibiotici, la bronchite si insidia nelle vie aeree e non c’è verso di scacciarla via. Così il ciclista convive spesso con il fastidioso compagno di viaggio. Ma è quando si sale oltre i duemila metri di quota, quando il freddo piomba improvvisamente sull’organismo e l’aria si fa sempre più rarefatta, e gli scatti degli avversari infieriscono sull’organismo provato, che la bronchite diventa una palla di piombo attaccata alla bici, una bastone tra gli ingranaggi, una cappa di pesantezza sulla testa. Ad ogni scatto dell’avversario, la bocca annaspa alla ricerca dell’aria, sempre più scarsa, sempre di meno. Fabio si incurva sui pedali, e cerca di limitare il distacco, prova a limitare i danni. Getta tutto quello che ha in quei pedali, e riesce a non crollare. E’ un distacco contenuto dalla testardaggine del sardo nell’ordine del minuto, una resa onorevole, che consente al campione di Villacidro di restare attaccato alla classifica generale in una buona posizione. Ma c’è una altro avversario alleato della bronchite, oltre all’aria fredda e rarefatta della montagna. E si chiama aerodinamica. I cronomen si appallottolano come proiettili, fendono l’aria a oltre 50 km orari, con punte di 60. L’aerodinamica è fondamentale nelle gare a cronometro, le gare contro il tempo. Così le prolunghe su manubrio aiutano il corpo a distendersi in avanti, e ad assumere la forma di una freccia protesa verso la ricerca della perfezione, della velocità assoluta. Così facendo, però, le braccia si racchiudono, e comprimono la cassa toracica. Ma l’aerodinamica è troppo importante, per cui, testa bassa, braccia distese e chiuse, e pedalare. Nelle gare contro il tempo l’ossigeno che entra nell’organismo non è sufficiente ad alimentare i meccanismi fisiologici aerobici. L’organismo accumula così fatica e si finisce per correre, in un certo senso, in apnea. Per chi, come Aru, è sofferente di bronchite, la cronometro, pur non essendo drammaticamente pesante come le tappe di montagna, rappresenta una ulteriore sfida contro se stessi. Anche perché l’atleta sardo tutto si può definire, fuorché specialista delle cronometro. Lo sfrecciare dei bolidi in tuta spaziale, con bici specialissime, non compete con il fascino delle grandi montagne. Tuttavia, la cronometro finale riserva comunque momenti di grande interesse. Dietro al duello tutto polacco tra lo scattante ed eclettico Kiatkowski e il possente specialista Bodnar, con quest’ultimo a prevalere di una inezia, si consuma il possibile dramma del francesino Bardet. Con l’inglese Froome ormai vincitore del suo quarto Tour, Bardet, dalla seconda posizione, scivola in terza, scalzato dal colombiano Uran. Incappa così in una di quelle giornate storte, che ti aspetti solo alla fine di una grande tappa di montagna. Non trova mai il rapporto giusto, e sembra continuamente alla ricerca del ritmo migliore. Forse sente la responsabilità di conservare almeno il podio, dopo che gli organizzatori hanno pensato a lui, disegnando il Tour, visto che la Francia non lo vince dal 1985. Bardet entra nel panico e perde terreno a vista d’occhio. Landa, il luogotenente di Froome, uno che potrebbe fare il capitano in qualsiasi altra squadra, recupera, agli intertempi, in maniera clamorosa nei suoi confronti. Bardet stringe i tempi, in una specie di delirio riesce a mantenere il podio per un solo secondo. Il nostro Fabio Aru fa una bella cronometro, difende bene la sua quinta posizione dall’attacco del forte irlandese Martin, dimostrando di potersi difendere anche in questa specialità, di essere maturato per correre da grande protagonista la corsa a tappe più importante del mondo, e di essere pronto per nuove avventure. Alla faccia della bronchite e degli antibiotici.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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