Ho incontrato un mio vecchio compagno di classe. Eravamo anni che non ci si vedeva. Neppure su Facebook. C’eravamo, entrambi, quasi dimenticati. Sapete quelle cose strane che succedono quando è molto tempo che non ci si vede? Si, quelle cose tipo: “E allora? Come va? Tutto bene? Sposato? Figli, come te la passi, mi sembri ingrassato, dimagrito, sei uguale a quando eravamo a scuola. Ti ricordi? Stavi all’ultimo banco, vicino alla finestra, vicino a Paola, la biondina. Te la ricordi? Lo sai, è morta da qualche anno”. No, non lo sapevo. Anche Paola come tante altre persone era finita nell’imbuto stretto della memoria. Morta. Alla nostra età. Non dico che non si può morire, certo. Ma non siamo così anziani. Vorrei chiedere perché, cioè, vorrei sapere come è morta: malattia, incidente, omicidio che so, qualcosa. Ma non riesco. Continuiamo a chiacchierare, a chiederci perché Antonella la dava proprio a Massimo e perché Massimo andava bene solo in matematica e perché Rossella non passava mai i compiti. Sempre stronza Rossella. Già. Poi ci siamo lasciati con il più classico dei saluti: “Magari ci sentiamo per una pizza, non facciamo che ci vediamo fra vent’anni”. Sapevamo, entrambi, che non ci saremmo mai cercati. Perché non avevamo quasi nulla da dirci e ricordare le giornate delle scuole superiori era l’unico sport che ci accomunava. Non gli ho chiesto neppure che lavoro facesse. E lui non me l’ha voluto dire. Di me sapeva tutto e mi ha stretto la mano in maniera decisa, come un vecchio compagno di classe. Poi son rimasto solo ad osservare il mare e a pensare a Paola. Lo sapevo, lo sapevo perché era morta, cazzo. Lo sapevo. Sapevo anche che era finita in comunità e avevo saputo che combatteva la sua battaglia contro la droga. A scuola stavo vicino a Paola, la biondina che nessuno ricorda più. Aveva una canzone Paola, la sua canzone preferita: “Luci a San Siro”, di Roberto Vecchioni. Questo mi ricordo e solo adesso mi rendo conto che Luci a San Siro non ne accenderanno più.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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