“Promised Land” è un film di Gus Van Sant di qualche anno fa. L’agente di una compagnia petrolifera gira per i luoghi più poveri degli Stati Uniti alla ricerca di terreni da cui estrarre biogas. Si ferma in una di queste comunità ai margini dell’American dream e avvia colloqui con autorità e cittadini per acquistare queste terre. La gente è per larga parte favorevole, vede in quell’uomo l’occhio benevolo della Provvidenza, ma un biologo del paese frena gli entusiasmi, spiegando quali effetto avrebbe sulle generazioni future un sottosuolo bucherellato dalle trivelle. L’agente Matt Damon non si lascia scoraggiare, corrompe tutti quelli che glielo permettono, convince i più riottosi e intravede il traguardo. Senonché nel villaggio piomba dal nulla un ambientalista. È giovane, spigliato, va nelle case, affigge manifesti e sparge volantini, parla nelle scuole per spiegare quale disastro ambientale abbia provocato quel progetto in altri posti in cui è stato autorizzato. In breve, si accattiva la simpatia di tutti e riporta la trattativa in alto mare. Infuria così la battaglia delle argomentazioni tra la multinazionale e il coriaceo ecologista, così cocciuto e insistente che ad un certo punto pare avere partita vinta: la gente sembra schierarsi con lui. Ma proprio prima del triplice fischio finale arriva il colpo di scena: si scopre che documenti e prove portate dall’ambientalista sono false, grossolanamente contraffatte e scientificamente irrilevanti. Il giovanotto scappa, rosso di vergogna e senza dare spiegazioni, sconfitto per abbandono. Ma all’agente della multinazionale i conti non tornano e lo scenario gli appare ad ogni minuto che passa più torbido. Allora affronta il suo avversario e il suo avversario gli suggerisce la soluzione dell’enigma. Una soluzione sconvolgente. Anche lui, l’ambientalista, è pagato dalla stessa compagnia petrolifera. Pagato per fingere di essere un ambientalista. La multinazionale aveva previsto il rischio di vedere vanificati i propri piani da un ingresso nella scena di ambientalisti veri, così pensò di crearne uno fantoccio: un attore ingaggiato per recitare una parte, ma a scadenza. Ad un certo punto l’impostore doveva uscire di scena: non avrebbe gettato la maschera – il suo doppio gioco doveva restare segreto – ma per il franare del suo castello di prove false. Ogni dubbio e qualunque credibilità della coscienza verde vennero così spazzate via.
Cosa c’entra tutto questo con il 25 aprile, con lo spirito della Liberazione?
La Liberazione è una forma di reazione ad ogni dittatura, imposta con le armi o con la forza soverchiante del denaro. Dove governi e opposizioni fingono di farsi la guerra e poi brindano di nascosto, là c’è dittatura. Non pensate per massimi sistemi. Pensate ai vostri piccoli Consigli comunali, ad assessori e consiglieri dell’opposizione che fanno affari sottobanco simulando guerre di facciata, a consiglieri di opposizione assunti da società municipalizzate controllate dalla maggioranza, a sedicenti oppositori a libro paga di Comuni ed aziende, cercate che fine abbiano fatto gli agit prop di vent’anni fa e per chi lavorino oggi le prime file delle manifestazioni di piazza di allora. È 25 aprile tutto l’anno se si ha il coraggio, ogni giorno dell’anno, di denunciare tutto questo.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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