Voi che auspicate mandrie di tori inferociti e incontinenti sulle strade sarde del Giro d’Italia, voi che predicate indifferenza verso la carovana dei ciclisti come atto politico, voi che augurate boicottaggi, sabotaggi e disgrazie solo perché quel Giro è “d’Italia” e non lo volete a casa “vostra”, perché siccome è “d’Italia” è una cosa “angena”. Voi siete i peggiori nemici della Sardegna, siete uno spot contro la Sardegna, siete la rappresentazione più arcaica e chiusa della Sardegna, fate il gioco di chi cerca di etichettarci coi soliti stereotipi. Siete persone tristi ed egoiste. Perché bisogna essere tristi per non capire che una corsa di biciclette che passa per venti regioni è una festa, un momento di comunanza e condivisione, non un’invasione coloniale come voi comiziate. E bisogna essere egoisti, chiusi dentro le proprie barriere mentali nella convinzione di poterci segregare tutto il vostro piccolo mondo, per non capire quanti luoghi e quante storie il Giro d’Italia farà conoscere, attraverso cronache e resoconti, quante opportunità potrà aprire ad altri sardi come voi. Non ho nulla da spartire, con voi. Ora che ci penso, siete gli stessi che esultano per le vittorie di Fabio Aru in giro per il mondo. Se nella corsa di biciclette vedete il male del mondo, il male è dentro di voi.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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