Ricordo un pomeriggio primaverile di vent’anni fa, credo fosse il 1999, trascorso fuori dal cancello di villa Cerbiatta, ad aspettare che Karim Aga Khan e il presidente Mariolino Floris finissero la loro chiacchierata e venissero a raccontarcene quel che si poteva. Dev’essere stata una delle ultime, stanche puntate della ventennale trattativa per il Master Plan: il principe al tramonto sarebbe uscito di lì a poco dalla scena della Costa Smeralda, perdendo ogni controllo di Porto Cervo. Ricordo che anziché di cemento l’Aga Khan parlò di Meridiana. E disse chiaramente che senza un partner forte, ai tempi tutti indicavano Air France, per la sua compagnia non poteva esserci futuro. Vent’anni fa, quasi ventuno. Ho passato quel tratto della mia vita in cui sono stato cronista a raccontare crisi di Meridiana, contratti di solidarietà, viaggi della speranza ad Aiglemont e casse integrazioni. Qualcuno ci metteva sempre una pezza, ma tutti sapevano che non poteva durare in eterno. Io non sono capace di grandi analisi. Però ridurre questo fallimento ad un atto di killeraggio degli emiri mi pare antistorico e pretestuoso. Questi del Qatar sono imprenditori cinici come ogni imprenditore dev’esserlo. Investono per il profitto, per moltiplicare il denaro del loro petrolio. Dove vedono perdite irrimediabili, rinunciano. Senza scrupoli o esitazioni. Prendono atto, come in questo caso, che sono improponibili nel presente certi modelli del passato, così com’erano strutturati quando i tempi lo richiedevano o permettevano. I ritmi del mercato corrono sempre più frenetici e ossessivi e non si può far nulla per fermarli. Certe impalcature troppo pesanti cedono e cadono. Il problema di noi galluresi, quando fingiamo di cadere dal pero, è che non riusciamo a vedere altro se non lo schema – più pigro che romantico – dell’uomo della provvidenza che plana sulle acque trasparenti di Cala di Volpe, se ne innamora e decide per puro trasporto sentimentale di puntarci sopra tonnellate di banconote, risolvendoci i problemi. È capitato una volta, difficilmente succederà ancora. Ma noi siamo sempre lì col naso per aria, ad aspettare il Salvatore. Abbiamo avuto un sindaco di Arzachena che ci dipingeva l’emiro come un ambientalista ipnotizzato dalla natura della Sardegna e senza secondi fini, un sindaco di Olbia che voleva intitolare una scuola pubblica alla moglie del suddetto emiro. Segni di una sudditanza che ci impedisce di guardare con realismo ai fatti. Quando qualcuno provò a porre dei dubbi sui piani del Qatar, nel 2012, venne insultato e avvertito: bisognava parlare sottovoce o tacere per non infastidire il padrone, molto impressionabile. Ma noi siamo sempre col naso per aria, ad aspettare che atterri il Salvatore. Solo che adesso in cielo non si vedono più passare gli aerei.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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