Esistono due modi per rintanarsi in un bunker: il primo è quello entrarci fisicamente, dopo averlo scavato con le proprie mani o averlo acquistato da qualche agente immobiliare col fiuto per il futuro. Il secondo modo, più letale, è diventare schiavi di un’idea fissa, sia essa religiosa, scientifica o calcistica. Il pensiero occidentale si fonda sul mito di un bunker (vabé, una caverna) in cui alcune idee, per quanto distorte, vengono credute vere e vengono difese con violenza assassina da coloro che ne sono schiavi.
Ecco, mentre cercavo idee rigorosamente amovibili per il bunker odierno, mi sono imbattuto sulla costola di un libercolo che non aprivo da anni ma che ha viaggiato con me e la mia famiglia in tutti i traslochi che abbiamo fatto da quando siamo diventati una famiglia. Si intitola “Sillogismi dell’amarezza”. È piccolo, giallo e pubblicato da Adelphi. L’autore è Emil Cioran. Prima di questo avevo scoperto, sempre di Cioran, “La tentazione di esistere”. Per chi non conoscesse il personaggio ma avesse iniziato ad intuirne lo stile grazie ai titoli, ne ricordo qualche altro: “L’inconveniente di essere nati”, “Squartamento”, “Il funesto demiurgo”, “Confessioni e anatemi”, “Vacillamenti”, “Fascinazione della cenere” e così via. Se c’è uno che non si è attaccato alle idee ma ha cercato di corroderle con l’acido della scrittura, è stato proprio Cioran. Esule, apolide, filonazista, antinazista, filobolscevico, anticomunista, malato di insonnia, ha concepito la scrittura come atto per sfuggire fisicamente al suicidio, e l’idea di suicidio come valvola di sfogo per non essere schiacciati dal peso enorme dell’esistenza. Ha stanato e dissolto idee per tutta la vita, almeno fino a che l’Alzheimer non gli ha impedito di essere chi era.
E parlando di idee (bunker letale cui facevo cenno qua sopra), dice: “Quando l’Idea si cercava un rifugio, doveva essere tarlata, se ha trovato soltanto l’ospitalità del cervello”; “Ad ogni idea che nasce in noi, qualcosa in noi marcisce”; “I nostri tentennamenti sono il segno della nostra probità, le nostre sicurezze quello della nostra impostura. La disonestà di un pensatore si riconosce dal numero di idee precise che afferma” “A che pro disfarsi di Dio per ricadere in sé stessi? A che pro questa sostituzione di carogne?”.
E infine, perché poi smetto: “L’intellettuale rappresenta la disgrazia più grande, il culmine del fallimento per l’Homo sapiens”; “L’uomo secerne disastro” e “Chi non ha mai visto un bordello alle cinque del mattino non può immaginare verso quali prostrazioni si incammina il nostro pianeta”.
È tutto così il libro, aforismi caustici al punto tale da risultare comici. Tra le righe si legge una disperazione abissale incatenata in modo indissolubile a un terrificante desiderio di vita. Sartre in confronto sembra il paroliere di Cristina d’Avena.
Ma perché ho dedicato il mio bunker a Cioran? Ero partito dall’immagine bunker fisico-bunker ideologico e mi sono ricordato del trattamento riservato da Cioran alle “idee vincenti”. Ma c’è un altro motivo, più sincero: dei libri che mi porterò, “Sillogismi dell’amarezza” sarà uno dei primi, insieme a “La tentazione di esistere”.
Cioran è la lettura perfetta per un bunker; l’importante è alternarlo, a intervalli regolari, con Dylan Dog.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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