Si è cercato di capire, in questi giorni, chi ci fosse dietro quelle tute nere e quelle maschere che hanno messo a soqquadro Milano il giorno dell’inaugurazione dell’Expo.
Si fronteggiano due teorie, al netto dei vari complottismi.
La prima teoria è quella che dipinge quella protesta violenta come il frutto di bamboccioni annoiati, figli di papà viziati privi di bussola esistenziale, facilmente condizionati dal potere che alla fine se ne serve per i suoi scopi.
La seconda teoria è quella che li vede come il seme rivoluzionario, l’esplosione di una rabbia consequenziale, dovuta alla grave situazione politica e sociale del paese.
C’è molta rabbia, infatti, nei confronti della classe politica che ormai da oltre 20 anni disonora il paese, peggio che ai tempi della prima repubblica, verrebbe da dire. Oggi come non mai la politica sembra dominata dal mondo degli affari, e oggi come non mai si continuano a scoprire dietro le grandi opere, quasi sempre dirette al nord, malaffare e corruzione.
Nel frattempo, la disoccupazione è diventata uno spettro che si aggira nella società, che non risparmia più nessuno, che non garantisce più nessuno, e non ha rispetto per l’età. L’età pensionabile, in una società dove il precariato è diventato diffuso, è una chimera. Le prospettive di lavoro un sogno.
E’ normale che poi esploda la rabbia, e la protesta.
E tuttavia gli indizi che si raccolgono in queste ore ci portano distante da una interpretazione “rivoluzionaria” della protesta.
Il giovane studente lombardo, che sfoggia in televisione atteggiamenti ridicoli, da vero e proprio bauscia ignorante; l’immagine dell’orologio di lusso al polso del black bloc; l’accertamento della presenza di una composizione internazionale dei contestatori, fa riflettere sull’origine di un movimento che, non per nulla, è nato negli anni ’80 in USA e Germania.
Ed infatti che i BB siano nati in questi due paesi, dovrebbe portarci a ben altre riflessioni che a quelle che mettono insieme, come in un automatismo, povertà e malessere con violenza.
Il movimento dei BB, infatti, nasce in questi due paesi ricchi, che tutto si potrebbe pensare fuorché che non siano in grado di offrire prospettive ai propri giovani.
Ma in questo mondo che ha deciso che tutto ciò che è povero, deve essere automaticamente considerato disdicevole, violento e scabroso, ci viene difficile pensare che invece è proprio laddove c’è ricchezza che, spesso, nasce la violenza.
Ecco perché non mi sorprende il BB con un bell’orologio al polso.
Neppure mi sorprende l’outing del poliziotto che si lamenta per ordini superiori che invece che stringere la protesta violenta, isolarla ed accerchiarla, hanno preferito tergiversare.
Un po’ di casino è funzionale al potere. Diciamolo.
Il risultato lo abbiamo visto con quella ragazzina che tentava pacificamente di esporre le ragioni dei NoExpò ed è stata aggredita e insultata dai milanesi inferociti.
In mezzo a quel bailamme, in quella babele di lingue, a parte la conoscenza paramilitare, dubito che ci potessero essere persone portatrici di cognizioni di causa.
E tuttavia ridurre la protesta violenta alle intemperanze della gioventù annoiata è riduttivo.
Fa parte di vecchi schemi mentali, ormai superati, ridurre la protesta, che sia spaccare vetrine, o sia anche semplicemente il cosiddetto “voto di protesta”, a questioni di classi sociali.
Oggi dovremo ragionare meglio in termini di “classi culturali”.
Ovvero tra coloro che in questi anni hanno fatto resistenza a quel lavoro costante, certosino, di distruzione della cultura e dell’istruzione, portato avanti con ogni mezzo specialmente negli ultimi 20 anni, e quelli che, inconsapevolmente, ci sono cascati dentro questa temperie di incultura.
Una incultura che ha finito per tirare fuori dalla coscienza delle persone i comportamenti più retrivi e distruttivi.
Una incultura che ha preso avvio con il ricambio della vecchia classe politica, quella della prima repubblica. Che tutto gli si poteva dire, ma non che non facesse cultura politica, perché i grandi partiti di massa erano straordinari vettori, in tutte le classi sociali, di cultura politica.
In quel vuoto di potere, la parte più spregiudicata del sistema economico ha giocato sporco, e ha utilizzato tutti i mezzi demagogici possibili pur di non perdere le redini del gioco.
Lo Stato si è trasformato nella vetrina del suo opposto, dell’antistato. Un paradosso assurdo, ma ben accolto dalla popolazione, perché, come ricorda Bourdieu, la critica allo Stato è attrattiva, perché dà l’idea di libertà e di anarchia, e di lotta contro le ingiustizie del mondo. Una assurdità ben rappresentata da quei governanti che esortavano a non pagare le tasse.
La distruzione del senso dello Stato in Italia è degradata in un puttanaio, nell’idea che il governo fosse una azienda parassitaria dove far entrare amici e amanti, senza nessun merito che non fosse la vicinanza al capo. Il tutto con il potente sostegno di una televisione che donava celebrità a cani e porci ad una unica condizione: di essere totalmente sottomessi al palinsesto, ossia al sistema, e di accettarne le regole, anche le più assurde, come quelle di sopravvivere rinchiusi in una casa o in una isola deserta. La meritocrazia ed insieme ad essa l’idea che con lo studio, l’impegno e il sacrificio si potesserono ottenere dei risultati, sono andate a farsi benedire.
La politica, per ottenere l’attenzione degli istinti più bassi, ha proseguito lanciando segnali di disgregazione sociale, distruggendo il senso di solidarietà tra le classi sociali, e l’idea di una comunità che potesse sostenersi con la collaborazione. Incominciando a mettere le Regioni del paese le una contro le altre, e poi ancora odio, odio contro i meridionali, contro gli zingari, contro gli immigrati, contro i dipendenti pubblici parassiti, contro i magistrati, contro chi cerca ancora di far rispettare le regole. Mettendo tutti contro tutti, il potere, quello vero delle multinazionali, delle banche, dell’alta finanza, si è garantita quella confusione che lo teneva a distanza da una classe politica che aveva il compito di fare da parafulmine.
Classe politica che, nel frattempo, si arroccava nella difesa dei propri privilegi, con leggi elettorali antidemocratiche, promettendo il taglio delle tasse, un grande inganno visto il debito pubblico crescente.
Invece sono arrivati i tagli allo stato sociale e soprattutto contro la scuola e la cultura.
Un tentativo di americanizzazione della società italiana, ossia di formare due distinte classi culturali, una che determina e una che obbedisce.
Con una differenza sostanziale: perché in America, la classe maggioritaria dei senza cultura ha la bandierina a stelle e strisce in un mano e la cocacola nell’altra, convinta di vivere nel paese più giusto e più bello del mondo. Da noi si è ingenerata l’idea opposta, di vivere nel paese peggiore del mondo. Due esagerazioni che non corrispondono alla realtà ma che, in definitiva, producono lo stesso risultato: la totale arrendevolezza a chi comanda.
Una arrendevolezza che passa anche attraverso il senso di impotenza, l’ignoranza diffusa, la critica indiscriminata, l’odio verso chiunque, il pregiudizio.
La maggioranza delle persone ha fermentato in questo marciume, ha seguito i vari pifferai senza una agenda mentale che riconoscesse l’inganno, e ora si ritrova con il cerino bruciacchiato in mano.
La rabbia esplode così, cercando anche di indirizzarla verso i presunti colpevoli di questo disastro sociale. Ma i risultati sono inconcludenti ed anzi, alimentano a loro volta il marciume.
Chi protesta con la violenza, fondamentalmente non sa quello che fa.
Chi protesta coscientemente, con buoni strumenti cognitivi, con pazienza, viene assimilato ai violenti, agli inutili, ai nemici della pace sociale.
E forse, ormai, è troppo tardi. Ci vorrà del tempo per ristabilire un certo equilibrio culturale nel paese. E i segnali non sono buoni, affatto.
Che la cultura, la coscienza civile, la cognizione di causa, non si inventano dall’oggi al domani.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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