Son tempi duri. Che uno ha pensieri amari e li tira fuori. E rischia di essere preso per una brutta persona. Chi se ne fotte. I pensieri amari, come in omeopatia, un po’ di veleno te lo sputano fuori. Sì, certi veleni vanno sputati e condivisi, messi in piazza, per una sorta di socialismo del giramento di coglioni. I mie pensieri amari riguardano il lavoro e la religione. Quella di chi parla di lavoro senza pensare a tutti i lavoratori, ma solo ad alcuni. Come quei cristiani che parlano dell’uomo in astratto ma non anche nel senso dell’uomo musulmano. Sull’articolo 18 è in corso una guerra santa, dentro il Parlamento e nel paese, e nelle case e sul posto di lavoro, e nei bar e su Facebook. E andando con lo sguardo dal cielo alle radici delle cose, come fanno gli atei, i miei pensieri amari sono sui diritti, sulle risorse per tutelarli, e su come tutto ciò si tiene in un paese malato come l’Italia. Pensiero amaro numero 1) Renzi e Bersani ci prendono per il culo. Sull’Art. 18, oggi, sono come il diavolo e l’acqua santa. Ricordo bene che fino a poco tempo fa avevano altre idee. Renzi se ne fotteva dell’abolizione mentre Bersani era possibilista. Credo che la partita sia un’altra. Credo che anche a Bersani non freghi nulla dell’Art. 18. Ma stanno facendo un braccio di ferro e in palio non ci sono i diritti ma il baricentro del PD, la leadership, il potere, la ditta. Bersani perderà, a prescindere dall’articolo 18. Perché come D’Alema è una vita che perde e che fa perdere la sinistra. Renzi invece non vincerà. L’Italia si farà un altro giretto nella palude. Tanto siamo abituati. Pensiero amaro numero 2) Chi si fa tutte le Siss del mondo e spacca il culo ai passeri per tutto quello che ha studiato, ma è precario, può vedersi fregare un anno di supplenza in un liceo vicino casa, e riprendere a viaggiare per chilometri, anche se ha 50 anni, perché un ricco, di ruolo, cui manca un anno ad andare in pensione, ha deciso che non vuole più fare il maestro elementare nel profondo nord ma vuole levarsi lo sfizio di finire la carriera in Sardegna. Lui può. Ne ha il diritto. Anche se in un liceo non ci ha mai insegnato. Ma ha acquisito il diritto di scavalcare un numero indefinito di precari che hanno studiato più di lui e che possono preparare degli adolescenti con più strumenti di lui. Perché lui, ripeto, lui ha il diritto. Il precario no. Pensiero amaro numero 3) in un paese normale dovrebbe esserci una sinistra che lavora per la distribuzione equa delle risorse e dei diritti. In Italia c’è un numero crescente di persone che vedono la propria pensione come un miraggio, per mancanza di risorse. Che non hanno il potere contrattuale di bloccare un comune per una vertenza sui buoni pasto. Che vanno in banca per chiedere un mutuo per farsi casa e si sentono rispondere no, non è possibile. Sono sempre i precari. In un’azienda in cui i contratti normali hanno molte tutele, a meno che quell’azienda non possieda il brevetto del moto perpetuo o un giacimento di pietre filosofali, il bisogno di flessibilità si scaricherà all’infinito sui precari. Che sempre meno avranno la possibilità di ridurre il divario di diritti che li separa dai lavoratori normali. E nel caso in cui l’azienda non fallisca – è una possibilità che ammazza in modo random- i normali arriveranno alla pensione, i precari no. O ci arriveranno poveri e senza denti. Negli enti pubblici è uguale. Il patto di stabilità rende sempre più difficili le nuove assunzioni, sotto qualunque forma. Perché per decenni si sono usate le risorse di tutti in modo clientelare e miope, e oggi le poche che ci sono vengono usate per sostenere e tutelare chi ha contratti a tempo indeterminato. A prescindere dalle capacità. Pensiero amaro numero 4) per affrontare il mondo occorre una sinistra capace di riflettere sul clima, sulla demografia, sull’energia, sulla comunicazione, sulla rete, in grado di elaborare nuovi strumenti, superando la dicotomia che divide il mondo tra ciò che è capitale e ciò che è lavoro. Poi, ragionando da sardo, penso a una sinistra che si occupi del rapporto tra la Sardegna e L’Italia, tra la Sardegna e il Mediterraneo. Invece oggi la sinistra è concentrata sul superamento di Renzi. Anche la Fornero è diventata brava, un po’ come quando segretamente amavamo Fini perché faceva a Berlusconi quello che noi non eravamo in grado di fare: indebolirlo. Una sinistra che non sa pensare al dopo, ma solo all’adesso e al prima. Una sinistra che non sa tirare fuori dalle sue fila uno più serio e credibile di Renzi, in grado di riportarci al governo del paese come ai tempi di Prodi. Brutto, vero? Pensiero amaro numero 5) L’articolo 18 contiene e difende un principio di civiltà: non può esistere un licenziamento discriminatorio. Questa sarebbe la parte dolce del pensiero. Quella amara è questa: se un diritto non è per tutti, non è un diritto ma un privilegio. Questo non intacca la validità del principio, ma deve far mettere in discussione i modi in cui esso viene applicato o disatteso. Per cui, nella realtà, succede che un precario è autorizzato a farsi questa domanda: chi me lo fa fare di battermi per un diritto che è solo di altri ma che io non posso esercitare? Se poi il precario si sofferma sul fatto che, più in generale, per dare applicazione alle norme che tutelano i diritti si usano le risorse pubbliche, e realizza che queste sono limitate, può chiedersi: ma perché certi ammortizzatori possono esserci per altri ma non per me? É un precario egoista, non c’è dubbio. Ma le sue domande, moltiplicate per qualche milione di precari, aspettano risposte dalla politica. E la politica, certo quella di destra, ma anche quella di sinistra, non sa rispondere. Non ha strumenti per rispondere. E neanche i sindacati hanno la possibilità di rispondere alla domanda: perché a certi si e ad altri no? L’Italia è questo, oggi. A certi si, ad altri no, ma con le risorse di tutti. La rabbia e la confusione nel dibattito sull’Art. 18, se si sposta la cenere, nascondono questo tipo di brace. Spero nasca una sinistra in grado di non nascondersi di fronte a queste domande. Oggi non c’è.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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